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Un portavoce dei ribelli Houthi ha dichiarato che un missile lanciato dallo Yemen avrebbe centrato un impianto della Saudi Aramco a Gedda, città nel Mar Rosso dove si trova il palazzo reale al Salam. A colpire il territorio saudita sarebbe stato uno Quds-2, modello che i ribelli yemeniti assembrano grazie all’assistenza e all’invio dei pezzi da parte dei Pasdaran sulla base dell’iraniano Soumar.

L’Arabia Saudita non ha confermato l’attacco, sebbene dal controllo delle immagini satellitari sembrano esserci dei segni di danneggiamento in uno dei silos del Jeddah Bulk Plant. Aspetto che conferma alcuni video che circolano tra i social network di fiamme in un impianto (video chiaramente non confermabili senza informazioni ufficiali).

Non è la prima volta che la guerra in Yemen – combattuta dal 2015 da una coalizione a guida saudita contro i ribelli separatisti Houthi che hanno rischiato il governo di Sanaa – sfocia verso i siti petroliferi sauditi. Già nel settembre del 2019 erano stati colpiti quelli di Khurais e Abqaiq, mentre in questi giorni il governo di Riad aveva fatto sapere di aver intercettato più volte droni esplosivi lanciati verso il proprio territorio.

L’attacco di questa notte arriva in concomitanza di due circostanze particolari. Primo, domenica 22 novembre l’Arabia Saudita ha concluso la presidenza di turno del G20. Secondo, nelle stesse ore che a Gedda piovevano i missili Houthi, più a sud, nella smart-city futuristica di Neom, molto probabilmente l’erede al trono saudita Mohammed bin Salman si incontrava per la prima volta con il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, insieme al segretario di Stato americano.

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