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La “teoria dei giochi” è uno strumento molto utile per capire le dinamiche che hanno travagliato il governo giallorosso sino a portare alla sua fine.

Dalla sua nascita, la coalizione, nata tra forze politiche che si erano combattute molto vivacemente per oltre dieci anni e senza un programma o “contratto” di governo stipulato e osservato da tutte le parti in causa, è stata afflitta da conflittualità, sedata unicamente quando con lo scoppio della pandemia, è parso a tutti necessario puntare unicamente sulla lotta al virus e sul sollievo alle categorie più colpite, accantonando tutti gli altri obiettivi. Ciò ha quietato, specialmente, i “riformisti”, ossia coloro che avevano in animo, una volta al governo, di mettere in atto “riforme” in aree come la giustizia, l’istruzione, l’ambiente, la politica dell’industria e delle infrastrutture (e simili), temi su cui i partner della coalizione avevano obiettivi divergenti e proponevano strumenti anche essi divergenti.

In termini di “teoria dei giochi” dal settembre 2019, i partner erano ingaggiati in un continuo gioco multiplo in cui ciascuno giocava simultaneamente su almeno due tavoli differenti con poste anche esse differenti.

Un tavolo era quello della coalizione in cui la posta in gioco era la reputazione, ossia la stima di tutti i partner che si stesse operando nell’ambito degli obiettivi e dei programmi definiti insieme quando si è deciso di formare una maggioranza.

L’altro tavolo è quello rispetto ai propri iscritti ed elettori. Qui la posta in gioco era la popolarità, ossia la dimostrazione che si stesse operando al fine di massimizzare i risultati degli impegni presi con iscritti ed elettori e se possibile ampliare il loro bacino (pescando non solo tra gli elettori dell’opposizione ma anche tra votanti e simpatizzando con altri partner).

Tale gioco multiplo si verifica in tutte le coalizioni, specialmente se formate da forze politiche che si sono combattute per lustri e anche decenni. È un gioco multiplo che porta tensioni: dal punto di vista matematico comporta inevitabilmente un equilibrio instabile.

Ci sono modi per fare sì che, nonostante l’equilibrio sia instabile, la coalizione regga anche un’intera legislatura. In Germania, ad esempio, le “grandi coalizioni” operano sulla base di accordi molto dettagliati (sino alla definizione di schemi di disegni di legge), di regole chiare e osservate da tutte le parti in causa, e soprattutto di un “gioco reale e plurale”.

In Italia, ciò si è verificato con il secondo governo Berlusconi che rimase in carica dall’11 giugno 2001 al 23 aprile 2005, per un totale di 1412 giorni, ovvero 3 anni, 10 mesi e 12 giorni. È stato il governo più longevo della storia della Repubblica Italiana ed il secondo dall’Unità d’Italia, dopo il governo Mussolini.

Il governo giallorosso non solo non si reggeva su obiettivi chiari e su un programma dettagliato, ma i principali partner erano alla prese con giochi plurimi al loro interno. Il Partito Democratico è nato dalla confluenza di tre tradizioni politico culturali mai completamente amalgamate: quella post-comunista, quella della sinistra cattolica, e quella liberalsocialista. Al suo interno è continuamente alle prese con “giochi plurimi” per trovare un sempre cangiante equilibrio tanto precario che il 18 settembre 2019 (subito dopo la formazione del governo) ha subito una scissione.

Il Movimento Cinque Stelle è nato di recente, non ha ancora consolidata una propria cultura politica, ed ancor meno una cultura di governo. Al proprio interno i “giochi multipli” sono tra gruppi che non hanno né obiettivi né programmi né regole chiare tra coloro la cui estrazione varia dall’estrema destra all’estrema sinistra: nessun gruppo vuole seguire un gioco “leale e plurale”.

Avere responsabilità di governo comporta benefici (come l’attuazione di programmi quali il reddito di cittadinanza e una strategia giustizialista, tratti che in Italia hanno sempre accumunato gli estremi) ma anche costi, in termini di perdita di consenso sia tra le fasce che una volta soddisfatte (vedi reddito di cittadinanza) non ha più nulla da chiedere ai loro eletti, sia tra coloro che si erano avvicinati ad una forza politica nuova e giovane per distanziarsene appena viste le vere o false apparenze di essere alle prese con quella che viene giornalisticamente chiamata “la nuova casta”.

Una vera e propria moltiplicazione di “giochi multipli” che per impedire l’implosione hanno portato, da un lato, l’accentramento delle funzioni nella presidenza del Consiglio (trasformata in una specie di Cancellierato, ben differente dal dettato costituzionale) e nell’inazione su temi e problemi considerati, a torto o a ragione, “divisivi”.

Ciò ha fatto sì che uno dei partner ha intrapreso un “gioco ad ultimatum” (come quello tra il Don Giovanni del mito e il Convitato di Pietra). Gli altri partner sono rimasti attoniti. Invece, di trovare un punto di equilibrio sia tra loro sia con chi apriva il “gioco ad ultimatum” in un programma dettagliato e in regole per continuare il gioco in modo leale e plurale, si sono arroccati ciascuno in un “gioco del prigioniero”: incerti sulle mosse l’uno dell’altro, hanno pensato che la strategia vincente fosse quella di puntare sulla stabilità di una presidenza del Consiglio nei cui confronti ciascuno di loro nutriva più o meno perplessità.

Il Convitato di Pietra li ha trascinati nella botola. Il “gioco” è finito. Come dice la teoria dei giochi. E come avviene in teatro.

Vi spiego tutti i travagli del governo giallorosso. Con la teoria dei giochi

Il governo giallorosso non solo non si reggeva su obiettivi chiari e su un programma dettagliato, ma i principali partner erano alla prese con giochi plurimi al loro interno. Tanto il Partito Democratico quanto il Movimento 5 Stelle. Giuseppe Pennisi legge la crisi di governo attraverso la teoria dei giochi

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