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Le Figaro all’inizio di questa settimana ha preso posizione sulla polemica tra media anglosassoni ed Emmanuel Macron accusando i primi, come fatto dall’Eliseo, di essere stati ambigui nel trattare gli attacchi terroristici subiti recentemente dalla Francia e la presa di posizione netta del presidente francese contro l’Islam radicale e il separatismo sociale. Philippe Gélie, editorialista del giornale conservatore francese e curatore della newsletter “Périscope”, attacca coloro che “fanno alla Francia un perenne processo alle intenzioni”.

Due le questioni da cui parte Gélie. Primo, l’annuncio, fatto al Figaro dai ministri di Interno e Giustizia, della nuova legge contro il separatismo che il governo di Parigi sta preparando al voto; una legge che il quotidiano ha sposato pienamente nella sua struttura ideale di fondo. Secondo, una vicenda che arriva dal Pakistan, dove un partito islamico aveva spinto i supporter a blocchi stradali e forme di protesta sospese soltanto dopo aver avuto rassicurazioni dal governo di Islamabad che ci sarebbero stati boicottaggi contro i prodotti francesi; Gélie spiega che quelli che attaccano la Francia sono gli stessi pakistani che volevano la morte per blasfemia di Asia Bibi.

La questione è complessa, e per raccontarla val la pena riprendere una vicenda tra Macron e il New York Times di qualche giorno fa. È tutto in un lungo e dettagliato articolo, uscito il 15 novembre firmato da Ben Smith, media-columnist del Nyt, che ha raccontato di aver ricevuto – incredulo – una telefonata dal centralino dell’Eliseo che gli ha poi passato Macron. Il presidente francese si sarebbe lamentato di come i media di carattere anglosassone hanno coperto gli attentati islamisti in Francia e coprono la linea presa da Macron.

C’è un virgolettato che Smith riporta che dà un’ottima immagine. Macron dice: “Quando vedo, in questo contesto, numerosi giornali di Paesi che condividono i nostri valori e che scrivono in un Paese figlio naturale dei Lumi e della Rivoluzione Francese, e che legittimano queste violenze, che dicono che il cuore del problema è in realtà la Francia razzista e islamofoba, mi dico: abbiamo perso i fondamentali”.

La battaglia macroniana è quasi esistenziale, riguarda la laicità dello Stato, la libertà, la sicurezza: su tutto la strategia. È uno dei temi (se non il tema) su cui il francese si giocherà la rielezione fra poco più di un anno. Anne-Sophie Bradelle, che consiglia il presidente francese sulle comunicazioni con i media internazionali, racconta al Monde che ogni giorno passa molto tempo a parlare con i giornalisti stranieri per spiegare la posizione e la direzione che l’Eliseo sta prendendo. “Il momento è molto sensibile”, dice.

L’arringa di Macron arriva a valle di giorni difficili: l’attacco all’arma bianca contro due giornalisti davanti alla vecchia redazione di Charlie Hebdo, la decapitazione del professor Samuel Paty (ucciso da una fanatico islamico per aver mostrato in classe vignette caricaturali contro Maometto), quell’altra nella cattedrale di Nostra Signora a Nizza; i cinque anni dalla strage del Bataclan. Smith contestualizza le critiche al suo giornale (che, per inciso, condivide e spiega che ha sbagliato a non titolare i fatti di Conflans-Sainte-Honorine come un attentato islamista) e le inquadra con altre diatribe tra Macron e i media.

“La guerra di Macron contro il separatismo islamico non fa che accrescere le divisioni in Francia” era per esempio il titolo di un editoriale del Financial Times che ha fatto imbestialire l’Eliseo. Si tratta della legge di cui parla il Figaro, che però non riguarda il “separatismo islamico”, ma islamista: nella semantica c’è chiaramente il destino del provvedimento. Da un lato l’aspetto religioso culturale, dall’altro il fanatismo. Con una decisione più unica che rara, il FT ha ritirato l’articolo: l’ha tolto dall’online e ha pubblicato una lettera di spiegazione.

Lo stesso ha fatto Politico Europe con un op-ed dal titolo “La laicità, la pericolosa religione francese” finito off-line dopo molte critiche (non dall’Eliseo, in vero). Smith riporta il commento di Stephen Brown, il direttore della filiale del sito a Bruxelles, che spiega: quell’opinione, firmata da Farhad Khosrokhavar, direttore di studi alla Ehhs, Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, “non rispettava le regole editoriali” e si prende la responsabilità di aver fatto uscire il pezzo in un momento non adatto; per questo l’ha ritirato.

Smith riporta un alto esempio: un articolo scritto per il Washington Post dal corrispondente a Parigi, James McAuley, che ha ricevuto tantissime critiche dalla Francia perché già dal titolo criticava il cuore della posizione macroniana (che per inciso è molto condivisa dai francesi): “Al posto di combattere il razzismo sistemico, la Francia vuole riformare l’Islam”. Altro quote dalla telefonata di Macron al giornalista del Ny Times: “Esiste una sorta di fraintendimento rispetto a cosa sia il modello europeo, e in particolare quello francese. La società americana è stata segregazionista e oggi ha sposato il modello multiculturale, che si basa sulla coesistenza di diverse etnie e religioni una accanto all’altra. Il nostro modello è universalista, non multiculturalista. Nella nostra società, a me non importa se qualcuno è nero, bianco o giallo, se è cattolico o musulmano, una persona è in primo luogo un cittadino”.

Francesco Maselli, giornalista italiano esperto di Francia e corrispondente dell’Opinion, cita su Linkiesta un’analisi pubblicata dal Monde secondo cui WaPo e Ny Times erano influenzati dalla campagna elettorale per le presidenziali, e hanno tenuto un approccio critico con la concezione francese della laicità principalmente per due motivi: da un lato “le notizie che potrebbero aiutare Donald Trump sono frequentemente filtrate o nascoste”, dall’altro “dall’omicidio di George Floyd i media progressisti difendono l’idea di un trattamento mediatico specifico per l’islam, all’interno della lotta contro un razzismo sistemico”.

Gélie sul Figaro non risparmia critiche a Smith, accusato per aver ipotizzato una Francia che “alimenta il terrorismo cercando di sdradicarlo”: “Si avverte l’eco ignobile di chi, dopo l’11 settembre, insinuava che l’America ‘se l’è cercata’ con le sua guerre in Medio Oriente”. Poi Gélie racconta la “splendida solitudine” – nel titolo dell’editoriale – dell’idea francese di laicità: “La Francia è tanto laica per i musulmani quanto per i cristiani, gli ebrei, i buddisti e tutti i credenti” (citazione di Macron al FT).

L’attacco alla stampa americana, con i suoi strascichi, non è questione di contorno. È un tema centrale, è la lotta di un capo di Stato per salvaguardare una traiettoria strategica. “L’Europa deve riaccendere la fiaccola dei suoi valori”, ma questa “non è una guerra di civiltà”, spiega Macron. Secondo lui questa è la difesa dello stato francese – e in generale dell’Occidente – da spaccature profonde che possono diventare faglie tettonizzate in modo definitivo, aperture nel contesto sociale da rendere lo Stato incapace di agire in modo univoco. È il riconoscimento del valore cruciale (e strategico) dell’assimilazione contro il separatismo.

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