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Nell’economia digitale “c’è bisogno della leadership dell’Unione europea”, della “sua autorevolezza” dimostrata per esempio con la Gdpr, diventata uno standard per altri Paesi. L’appello arriva dagli Stati Uniti, da Christopher Padilla, vicepresidente di Ibm responsabile degli affari governativi e regolatori, già sottosegretario al Commercio internazionale nella seconda amministrazione statunitense guidata da George W. Bush.

IL FUTURO DIGITALE

Padilla è intervenuto nel corso di un evento sul futuro del commercio digitale organizzato da Ibm e moderato da Luisa Santos, vicedirettore generale di BusinessEurope. Ha evidenziato come il settore stia attraversando una fase paradossale a causa delle spinte e delle misure protezionistiche. “È paradossale”, ha spiegato, “che in un momento in cui le economie globali sono più interconnesse digitalmente, sentiamo inviti alla ‘sovranità digitale’”. Padilla ha auspicato una cooperazione tra Australia, Unione europea e Stati Uniti (ma anche Giappone), che hanno “interessi comuni nell’economia digitale”, con la Cina che rappresenta “una minaccia” in questo settore e dunque nell’economia globale. Parole riprese da un altro panelist, Justin Brown, ambasciatore australiano in Belgio e Lussemburgo oltre che all’Unione europea e alla Nato, che ha evidenziato come il “rischio di frammentazione” e l’assenza in un “approccio comune” alla materia rischi di offrire il fianco ad altri Paesi.

IL RUOLO DELL’UE

“La sfida oggi non è creare regole digitali ma avere una comune comprensione delle regole attraverso i confini”, ha dichiarato Maria Martin-Prat, direttore degli affari asiatici della direzione Commercio della Commissione europea, caponegoziatore dell’esecutivo comunitario per l’accordo sugli investimenti con la Cina. L’Unione europea ha appena concluso le consultazioni sulla trade policy review: “Dateci tempo per digerire” quanto emerso, ha spiegato Martin-Prat. Fissando però una linea rossa che, a giudicare dalle aree di sua competenza, è un avvertimento alla Cina: “La privacy non è un tema su siamo disposti a scendere a compromessi per il commercio”. Dita Charanzová, vicepresidente del Parlamento europeo, deputata ceca nei banchi di Renew Europe, ha parlato dell’“autonomia strategica” europea, richiamata anche nella recente intervista del presidente francese Emmanuel Macron a Le Grand Continent. Un’espressione, ha spiegato, che “temo sia stata utilizzata per rilanciare” a volte agende “Europe First” e che rischia di trasformarsi in un sinonimo di nuove misure protezionistiche: sarebbe “molto pericoloso”. “C’è molto da fare”, ha aggiungo Charanzová riferendosi all’agenda digitale europea, con un invito a “essere più ambiziosi”: “Il commercio digitale deve diventare il DNA della nuova politica commerciale dell’Unione europea”, ha spiegato.

L’AMMISTRAZIONE BIDEN

Non poteva non emergere nel corso della discussione il tema dei rapporti transatlantici sotto Joe Biden. Padilla ha voluto sottolineare come “il commercio digitale sia una delle priorità del transition team” del presidente-eletto degli Stati Uniti “nell’agenda transatlantica”. Ma ha anche evidenziato i progressi di Donald Trump nel settore, in particolare negli accordi con Giappone da una parte e Canada e Messico dall’altra. Difficilmente però gli Stati Uniti cambieranno radicalmente l’impostazione di fondo (basti pensare ai legami tra la Silicon Valley e la vicepresidente-eletta Kamala Harris): “La nuova amministrazione democratica adotterà un’agenda commerciale non aggressiva e approccerà il Wto in maniera positiva”. Nulla di più, però: come a dire, le distanze tra le due sponde dell’Atlantico su diversi dossier, a partire da quello della Digital tax, rimangono. Come ha riconosciuto anche Martin-Prat auspicando però di “vedere un atteggiamento diverso: dobbiamo lavorare assieme nonostante le differenze”.

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