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Negli ultimi giorni ci sono stati alcuni interessanti sviluppi nella crisi tra Armenia e Azerbaigian per il territorio conteso del Nagorno-Karabakh (crisi che nasconde, come evoluzioni e coinvolgimenti dimostrano, molto di più della partita attorno a quel territorio). Distanti dal rispetto di una tregua umanitaria – come era stato cercato di mediare in precedenza, anche attraverso un annuncio spettacolarizzato dell’amministrazione Trump – armeni e azeri hanno continuato a combattere e l’esito del conflitto sembra giorno dopo giorno più chiaro: Baku ha già spinta militare, grazie all’aiuto apparentemente totale della Turchia.

Gli sviluppi riguardano le conseguenze della situazione sul campo. In ordine cronologico, allora: la Russia ha annunciato di essere disposta a trattare con l’Azerbaigian la restituzione di sette distretti attorno al Nagorno-Karabakh attualmente occupati amministrativamente dall’Armenia. Sono oggetto del contendere, e da tempo si parla della possibilità che tra Mosca e Ankara ci sia un accordo che ruota anche attorno a questi. Il Cremlino è disposto a cedere, nonostante l’Armenia faccia parte del suo sistema di cooperazioni regionali, e sebbene questa concessione da Mosca potrebbe non essere decisiva per fermare i combattimenti.

L’annuncio però rivela che la Russia è disposta a negoziare: per non scendere in complessi coinvolgimenti, per non perdere il contatto con Baku (che Vladimir Putin ha detto di considerare un alleato alla stregua di Erevan), per non rimanere indietro rispetto ad Ankara, per tenere il piede nella sfera di influenza caucasica. Sistemare le cose in qualche modo è l’obiettivo di Putin, che infatti attacca la leadership sovietica che lo ha preceduto e la accusa di non aver fatto niente per risolvere un problema che per la Russia significa sicurezza nazionale e stabilità al confine.

Un altro sviluppo interessante riguarda l’ingresso in gioco (in modo più convinto) dell’Iran. La Guida suprema, Ali Khamenei, ha recentemente dichiarato che l’Azerbaigian ha tutto il diritto di “liberare” i “territori occupati” dall’Armenia. È una posizione forte: Khamenei ha origine azera, minoranza che pressa la Guida, che si muove anche perché le connessioni (economiche e poi infrastrutturali) tra i due paesi confinanti sono diverse. Quella che esprime è un’inversione di rotta rispetto alla linea di neutralità tenuta finora. Di fatto, la leadership teocratica di Teheran delegittima le pretesa armene sul Nagorno-Karabakh.

Il risultato è un doppio successo per l’asse Baku-Ankara. Dimostrazione (nota: non che non sia preoccupante) che la Turchia attraverso l’impegno militare riesce a ottenere risultati. Teheran sposta il suo asse verso gli azeri, anche perché teme che il dispiegamento di miliziani sunniti siriani, predisposto dal governo turco, possa costituire un problema di sicurezza interna: personaggi pronti a rivendicare altre istanze contro la Repubblica islamica sciita, che nell’ottica pragmatica degli ayatollah è meglio allontanare il prima possibile.

La Turchia ottiene un parziale appoggio dalla Russia e uno più esplicito dall’Iran; detta un’agenda forse più ampia di quanto sia in grado di portare avanti (vista la situazione economico-finanziaria); rafforza apparentemente la propria posizione nel Caucaso che si porta dieto un raffreddamento dei rapporti dell’Armenia con Russia e Iran.

Nagorno-Karabakh, Mosca e Teheran scelgono il lato turco

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