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Il quotidiano emiratino The National annuncia che il vaccino contro il coronavirus “Sputnik 5”, sviluppato dall’Istituto Gamaleya di Mosca contro SarsCoV-2, sarà testato negli Emirati Arabi Uniti. L’accodo è stato raggiunto tra il Cremlino e il governo di Abu Dhabi. La fase di somministrazione negli Emirati Arabi, teoricamente secondo la procedura scientifica di Fase-3, sarà supervisionata dall’ospedale pubblico Abu Dhabi Seah e dal ministero della Salute e della Prevenzione. L’annuncio arriva dopo una telefonata tra il principe ereditario e factotum del regno del Golfo, Mohammed bin Zaeyed, e il presidente russo Vladimir Putin.

I test negli Emirati sono i secondi a essere tenuti all’estero, dopo quelli in Bielorussia, mentre un altro processo dovrebbe iniziare presto in Venezuela e un’altra ancora in Iran – Putin ne avrebbe parlato al telefono con l’omologo di Teheran, Hassan Rouhani. In un flash dunque la profondità dell’operazione sanitaria, con cui la Russia usa il vaccino come arma strategica. Aver raggiunto il siero prima degli altri (in realtà sembra che anche la Cina abbia iniziato le somministrazioni interne) ha dato a Mosca una forza geopolitica. E d’altronde, che i russi intendessero sfruttare la pandemia sotto queste leve era chiaro fin dai tempi più cupi dell’epidemia, quando a marzo inviarono aiuti-interessati in paesi critici come l’Italia.

Ora che la Russia ha in mano il vaccino non esita a usarlo per creare influenza. Lo fa testare in Bielorussia, dove i moti di piazza esplosi contro il batka Aleksander Lukašenka sono esplosi non solo per i brogli elettorali alle presidenziali, ma anche come frutto di un sentimento di esasperazione nei confronti della gestione disastrosa dell’epidemia – che il regime di Minsk ha negato e sminuito con il famoso bevetevi una vodka e tutto passa. E non solo: tiene agganciato alla propria sfera di influenza il Venezuela – dove l’epidemia corre e il regime di Maduro si vuole dimostrare più pronto dell’alternativa semi-abortita proposta da Juan Guaidó, recuperando terreno con i cittadini. Cerca gli Emirati e l’Iran, antipodi nella sfera intra-islamica e nemici giurati nelle dinamiche geopolitiche del Golfo.

Operazioni che avvengono mentre l’Occidente fatica, stretto da regole meno lasche di quelle permesse all’istituto statale russo, che per esempio ha iniziato una pre-diffusione e vaccinazioni interne prima di superare la critica terza fase. Quella stessa che – è notizia di questa giorni – è stata bloccata dal gruppo sanitario americano Johnson & Johnson, che ha dichiarato di sospendere le selezioni per la Fase-3 e interrompere lo studio clinico a causa di una “una malattia inspiegabile in un partecipante”. Una componente attesa di qualsiasi studio clinico, soprattutto questi di ampie dimensioni, che ha portato la multinazionale a rispettare i rigidi protocolli interni e fermarsi per approfondire.

Questi passaggi sono un elemento fondamentale nella preparazione dei un farmaco, che però Mosca ha ricoperto rapidamente. Lo Sputnik 5, secondo Nature, è composto da due somministrazioni diverse – basate sulla combinazione di due diversi adenovirus ricombinanti, già studiati da americani e cinesi – che dal punto di vista della sperimentazione si sono fermate alla Fase-2. Ossia i test sono stati condotti solo su un limitato numero di campioni: dai documenti ufficiali sarebbero appena 76 individui (38 civili e 38 militari). Ben distante dai numeri di una Fase-3, quella decisiva per la valutazione del bilancio rischi-benefici. Per avere un’idea, Johnson & Johnson ha fermato le iscrizioni volontarie a questo step sperimentale che prevederebbe la partecipazione di 60mila persone.

Tuttavia, il ministero della Salute russa ha approvato il farmaco che è stato già in parte utilizzato. Ora la sperimentazione si sta ampliando in scala, spostandosi al di fuori della Russia, e proseguirà in diversi paesi permettendo a Mosca di arrivare a quel vantaggio che la vittoria sulla corsa al vaccino si porta automaticamente dietro – tutto sfruttando la necessità di quelle nazioni di accettare le proposte del Cremlino per non perderci contatto (Bielorussia e Venezuela), o di soddisfare le richieste di collettività ansiose o colpite (Emirati e Iran). Sarà l’osservazione nei prossimi mesi a valutare la bontà del farmaco, perché soltanto il procedere della sperimentazione potrà verificare se ci saranno reazioni collaterali ricorrenti e gravi.

D’altronde il nome del vaccino è evocativo di una volontà di successo nazionalistica: Sputnik 5 fu infatti il satellite che portò per la prima volta in orbita attorno alla Terra due cani, Belka e Strelka (oltre a un coniglio, 40 topi, 2 ratti, 15 colonie di moscerini della frutta). Era il 1960: dopo il volo orbitale durato un giorno gli animali tornarono a terra: Strelka più avanti partirò sei cuccioli, di cui uno fu donato al presidente Usa John Fitzgerald Kennedy.

Sputnik 5 negli Emirati. Ecco come la Russia muove la Fase-3 del vaccino anti-Covid

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