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Non credo fosse nelle sue intenzioni, ma questo rende il fatto ancora più grave: la sommossa popolare di ieri a Washington, ispirata e (di fatto) appoggiata da Donald Trump, ottiene un immediato effetto geopolitico, vale a dire regalare alla Cina di Xi Jinping la leadership planetaria (peraltro già resasi evidente sul fronte della pandemia).

La devastazione negli uffici di Capitol Hill, la folla inferocita che sfonda ogni tipo di barriera, l’indifendibile atteggiamento delle forze dell’ordine (talmente impreparate da rendere necessario il ricorso alla Guardia Nazionale): tutte facce della stessa medaglia, vale a dire quella del tramonto malinconico del secolo americano, inteso come luogo e tempo di democrazia liberale capace di funzionare (innanzitutto) come modello ispiratore per le nazioni di tutto il mondo.

Non lasciamoci troppo influenzare dalla cronaca però, guardiamo quindi oltre i fatti di queste ore.

Il punto centrale non è la manifestazione piena di gente tra la Independence Avenue e la Pennsylvania Avenue di fronte al Congresso, un fatto che si è ripetuto molte volte negli ultimi decenni.

E non è neppure nel pur tragico bilancio di morti e feriti, perché anch’esso fa parte del possibile esito di eventi di protesta in ogni momento della storia moderna o antica.

Il punto è che la manifestazione è finita (in diretta TV e social) con la fuga precipitosa a nascondersi di molti membri del Parlamento, è finita con le armi spianate di impauriti agenti della sicurezza dentro l’aula del Congresso, è finita con la violazione ed il saccheggio del luogo (a questo punto teoricamente) intoccabile della democrazia americana, cioè la sala delle riunioni degli eletti del popolo.

Insomma l’America, corazzata planetaria della libertà e del potere, forte della sua immensa capacità evocativa (cinema, musica, arte, sport, costume), della sua indiscussa supremazia militare (nucleare e non), scientifica, economica si rivela all’alba di questo 2021 una nazione nemmeno in grado di garantire la sicurezza dei suoi sacri palazzi, nemmeno fosse una fragile e giovane democrazia africana o sudamericana.

Questo è il punto centrale di tutta questa storia, questo è l’errore devastante (magari voluto, speriamo involontario) di Donald Trump.

Lui che ha scommesso politicamente sulla capacità di porre un freno all’egemonia cinese, finisce per agevolare il più formidabile assist all’oligarchia post-comunista che regna a Pechino (a proposito, che fine ha fatto Jack Ma?), rendendo evidente a tutti che il suo slogan MAGA (Make America Great Again) è lo slogan di un gigante dai piedi d’argilla.

Da oggi infatti gli Assad e i Kim Jong-un di cui è pieno il mondo sanno che a Washington non riescono a tenere sotto controllo i problemi domestici, quindi c’è motivo di pensare che gli yankees faranno sempre più fatica ad impicciarsi dei fatti altrui.

Inoltre tutti penseranno con ancor maggiore convinzione che solo interlocutori stabili come Erdogan o Putin servono per dirimere le controversie, visto che gli europei sono incapaci di una voce comune e gli americani sono alle prese con problemi enormi dentro casa.

Insomma la giornata di ieri incoraggia la Cina ad usare il pugno di ferro con Hong Kong, la Turchia a strapazzare l’Armenia, i governanti di mezza Africa a non usare le buone maniere nelle divisioni etniche che soffocano il continente.

E così, mentre a Wuhan la gente ha festeggiato in piazza il Capodanno, il più feroce oppositore americano allo strapotere cinese nonché inquilino della Casa Bianca finisce i suoi quattro anni di mandato regalando a Xi Jinping il bastone del comando.

Non c’è che dire, un capolavoro.

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