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“L’Italia rischia di non sopravvivere a una nuova chiusura, evitarlo deve essere una priorità. Se ci si arriverà, sarà per le mancanze di un esecutivo che sapeva cosa ci sarebbe aspettato in autunno”. Così parlò Giorgia Meloni commentando le misure adottate negli ultimi Dpcm del governo per contrastare la (nuova?) emergenza sanitaria.

Matteo Salvini è stato ancora più caustico (con particolare riferimento al numero chiuso delle cene nelle case private): “Neanche George Orwell sarebbe arrivato a tanto, siamo alla follia, rileggiamoci 1984″. Pur dubitando che Salvini abbia mai letto non solo questo libro, ma uno che non fosse la “Storia del Milan’’, credo che l’opposizione abbia il diritto di criticare dei provvedimenti discutibili del governo che comportano gravi conseguenze su pezzi di economia e sulla vita delle persone e che – diciamoci la verità – sembrano assunti a caso, tanto per fare qualche cosa spesso senza un bagliore di logica. Ma se avessero un briciolo di onestà politica e personale sia Giorgia Meloni che il suo “compagno di merende’’ leghista dovrebbero premettere delle scuse agli italiani. Almeno a quelli che non hanno dimenticato la linea di condotta che i due leader della destra-destra adottarono quando ad agosto il governo chiese ed ottenne la proroga dello stato d’emergenza (fino al prossimo 31 gennaio).

Ci fu una infuriata requisitoria della presidente di FdI nell’emiciclo dell’Aula della Camera (“Pazzi irresponsabili, non vi daremo tregua”). Mentre Salvini interveniva al convegno dei “riduzionisti’’ (la sezione dei “terrapiattisti’’ del Covid) organizzato da Vittorio Sgarbi, sostenendo che l’epidemia aveva esaurito la sua spinta propulsiva, ma che il governo voleva tenerla accesa importando immigrati clandestini allo scopo di impestare i nostri concittadini.

“Per prorogare uno stato d’emergenza – tuonò l’ex Capitano – serve un’emergenza. E dov’è l’emergenza? Basta guardare i numeri, le terapie intensive. Non c’è più emergenza, a meno che qualcuno voglia usare questo pretesto per salvare la poltrona, per motivi politici e non sanitari”. E ancora: “Il governo sta importando infetti. Magari è una strategia per tenerci sotto lo stato di emergenza fino al 31 ottobre’’. Dato quindi a Cesare quel che è di Cesare e ricordato che l’opposizione ha perso un’altra occasione per dimostrare un minimo di responsabilità, gli ultimi provvedimenti del governo a me sembrano inutili e ingiustamente punitivi solo per alcuni settori dell’economia.

Conte ci ha risparmiato il “sabato del villaggio’’ perché non aveva superato le opposizioni delle Regioni. Così siamo arrivati oggi (“che domenica bestiale’’!) a conoscere quanto stabilisce il nuovo Dpcm che entrerà in vigore da mezzanotte. Che senso ha, ad esempio, anticipare alle 18 la chiusura di bar e ristoranti e degli altri esercizi pubblici?

Innanzitutto, tale misura, almeno per la ristorazione, significa togliere di mezzo i due terzi dell’attività, perché non c’è confronto tra il numero degli avventori del pranzo e quelli della cena, soprattutto nei fine settimana. Lo stesso discorso vale per i cinema, i teatri e i luoghi di spettacolo. Sono tutti locali che hanno applicato dei protocolli e che sono in grado di gestire la loro attività in condizione di sicurezza rispettando l’obbligo della mascherina e del distanziamento sociale, attraverso la riduzione dei posti occupabili in regime di sicurezza.

Che senso ha disporne la chiusura se non quello di dare l’idea all’opinione pubblica di voler agire a bella posta? Soprattutto credo che sia sbagliata l’analisi sull’effettivo stato delle cose. Se l’esperienza della scorsa primavera ha fornito qualche insegnamento, non è il caso di parlare di “seconda ondata’’, quando ce ne è una sola ed è sempre la stessa. Noi corriamo il rischio di metterci a giocare a nascondino con il Covid-19. Non si tiene conto degli effetti stagionali; siamo in autunno, stiamo andando verso l’inverno, è normale che crescano le malattie e i ricoveri (diversamente da quanto accade in estate).

E col freddo finiscono anche le “movide’’. Ma l’idea delirante è sempre un’altra: non vi è alcuna certezza di avere ragione del virus grazie ad un ripristino di provvedimenti di lockdown. Il virus – dopo un periodo di trend decelerato per effetto delle misure di contenimento – è destinato a ripartire alla riapertura che prima o poi dovrà pure avvenire.

Che cosa succederà allora? Si va avanti con un’indefinita politica di stop and go? Incuranti della letalità in cui incorrono le imprese? Perché si fa presto ad impegnarsi per misure di “ristoro’’; ma il problema non è quello di assicurare la sopravvivenza dell’imprenditore, ma la salvezza della impresa, perché lo Stato non sarà mai in grado di farsi, a lungo, carico, non solo, dei redditi ma anche dei fatturati.

C’è poi la questione della messa in quarantena della Pa con il pretesto dello smart working e del quasi-obbligo di passare al Dad nella scuola superiore in nome di una logica del “fai da te’’ che garantisce molto poco sul piano effettivamente formativo. Ciò mentre non si capisce perché non sia possibile effettuare un cambiamento dell’orario, utilizzando anche il pomeriggio per l’insegnamento in presenza.

Per concludere, ecco un esempio di come la confusione regni sovrana. Ieri sera ero ospite di un talk show dove venivano affrontati – un po’ come Dio vuole – l’inasprirsi delle curve connesse al contagio. Nel corso della trasmissione sono intervenuti, separatamente, due medici che da mesi stanno affrontando la sfida della pandemia (peraltro tutti e due nella stessa città). Non è il caso di fare i nomi, però. Il primo ha fornito una valutazione prudente, benché realistica, della situazione: il 95% dei contagiati – ha detto – sono asintomatici o leggermente sintomatici, ma essendo ridotta la quota di virus introiettata, non hanno abbastanza tasso di “infezione’’ da trasmettere alle persone con cui vengono a contatto.

Poi, con garbo, ha iniziato una filippica contro gli scienziati che fanno allarmismo ingiustificato. Quanto all’appello dei cento scienziati rivolto a Mattarella e a Conte, il medico ha fatto notare che nessuno dei firmatari era un seguace di Esculapio, ma appartenevano tutti ad altre professioni. Da qui è partita una critica al modello matematico usato per prevedere il progredire dei contagi. Il secondo medico è andato oltre, ma in direzione opposta, definendo drammatica la situazione negli ospedali e difendendo l’efficacia previsionale dell’algoritmo sbandierato dalla cordata dell’appello. Come a voler giustificare il precetto di Ippocrate: “Medice, cura te ipsum’’.

Dpcm killer seriali (ma Salvini e Meloni...). Cazzola racconta la domenica bestiale

Il virus – dopo un periodo di trend decelerato per effetto delle misure di contenimento – è destinato a ripartire alla riapertura che prima o poi dovrà pure avvenire. Che cosa succederà allora? Si va avanti con un’indefinita politica di stop and go, incuranti della letalità in cui incorrono le imprese? L’analisi di Giuliano Cazzola

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