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Il quotidiano francese La Tribune ha riportato la notizia che pochi mesi fa il governo di Parigi ha attribuito al ministero dell’Economia, Finanze e Rilancio guidato da Bruno Le Maire, la tutela, cioè il potere di spesa e di indirizzo, sulle attività spaziali che dal 1961, anno di creazione del Centre national d’études spatiales (Cnes), sono delegate congiuntamente ai dicasteri dell’Istruzione e Ricerca, e della Difesa.

Lo spazio per la Francia è un settore strategico, legato alla sua sovranità tecnologica, industriale e militare, ed è quindi materia da sempre trattata al più alto livello politico della Repubblica. Secondo la stampa francese alcuni problemi di attribuzione tra ministeri si erano già manifestati prima della conferenza ministeriale Esa dell’anno scorso, e così il governo presieduto da Jean Castex ha deciso il nuovo assetto di governance dello spazio poco dopo il suo stesso insediamento a l’Hôtel de Matignon. Nei prossimi giorni il ministro Le Maire dovrebbe proporre la nomina di un nuovo presidente del Cnes, dopo che a febbraio il secondo mandato di Jean Yves Le Gall era stato prolungato per consentirgli di presentare la sua più che autorevole candidatura alla direzione generale dell’Esa.

Però, il prestigioso incarico europeo è andato all’Austria, un Paese che contribuisce al budget dell’agenzia con 57 milioni di euro l’anno, pari all’1,4%, ma questa è un’altra storia. Fonti di stampa d’oltralpe riportano che Le Maire preferirebbe nominare al Cnes una personalità proveniente dall’industria (circola il nome dell’ex capo di Airbus Defence & Space Nicolas Chamussy), ma al di là dei nomi in ballo il punto è che la governance dello spazio in Francia dipende ora da un potente ministero, paragonabile ai nostri Mise e Mef uniti insieme. La differenza rispetto a prima non è da poco, ecco perché nominare al vertice del Cnes un ex-manager dell’industria potrebbe rappresentare un ulteriore sigillo politico di Le Maire.

Questi è stato a Roma tre settimane fa e ha dichiarato che “per far fronte alle sfide globali, verrà creato un gruppo di lavoro tra i principali Paesi europei coinvolti nello spazio, cioè Italia, Francia e Germania, per costruire una reale sovranità europea attraverso l’autonomia industriale e tecnologica”. Pochi giorni fa, a Berlino insieme al suo omologo tedesco Peter Altmaier, ha poi dichiarato “poiché per migliorare la competitività e l’efficienza del settore spaziale, soprattutto dei lanciatori, sarà necessario l’aumento dei finanziamenti privati oltre al sostegno pubblico, i ministri hanno deciso la creazione di un gruppo di lavoro congiunto di alto livello per identificare posizioni europee comuni sulla politica spaziale, con l’obiettivo di produrre un rapporto di raccomandazioni politiche entro la metà del 2021”.

Riannodiamo le fila: nonostante sia stato nominato da poco un nuovo direttore generale dell’Esa e la Commissione europea abbia appena approvato il budget pluriennale per lo spazio, i ministri di Francia e Germania decidono di creare un gruppo di lavoro congiunto, ristretto e di alto livello, per elaborare le future politiche industriali. Curioso che ci sia bisogno di ciò quando esistono enti comunitari, tipo l’Esa o la stessa Commissione, che sarebbero deputati a farlo. Ma come abbiamo spesso scritto, il settore spaziale non fa eccezione alle ritualità della politica europea dove in pratica decidono i Paesi leader e poi nelle sedi istituzionali si formalizza attraverso una strutturata documentazione come implementare quelle decisioni.

In questo caso, la strategia sembra essere quella di avviare gruppi di lavoro prima bilaterali e poi trilaterali per convergere su una posizione comune. Ma il rischio concreto è che il nostro Paese si ritrovi, prima o poi, di fronte a una linea politica precostituita da Parigi e Berlino. Un punto dirimente, secondo il comunicato congiunto dei due ministri, è quello dei futuri lanciatori dai quali dipende l’autonomia strategica europea. L’Esa spende il 30% del proprio budget solo per i programmi Ariane e Vega, comprese le infrastrutture industriali collegate. Il nuovo Ariane 6 entrerà in servizio tra un paio di anni ma comunque non sarà competitivo sul mercato, e non lo diciamo noi ma lo dichiarò proprio Le Maire tre anni fa suscitando non poche polemiche. La Germania ha sempre partecipato al programma Ariane (generalmente tra il 25% e 30%) ma non al Vega, e da un paio d’anni supporta alcune start-up nazionali che sviluppano missili di nuova concezione, che i francesi chiamano “micro-lanciatori”, e che potrebbero essere operati non solo dalla base di Kourou ma anche dalle Azzorre oppure dal Nord Europa dove c’è un sito di lancio norvegese per razzi suborbitali (i tedeschi stanno anche progettando delle piattaforme mobili marine di lancio da operare nel Mar del Nord).

L’Italia da una ventina d’anni investe in media circa 100 milioni di euro l’anno per i lanciatori, quindi una sua partecipazione a quelli futuri ha tutte le carte in regola per essere rilevante se sarà mantenuto tale livello di spesa. Ecco un motivo, non l’unico, per cui l’Italia può essere parte del ristretto consesso decisionale europeo. Bisogna però vedere come. Il punto qui è tutto politico e rimanda anche al tema iniziale, a quello cioè per cui la Francia, Paese guida dello spazio europeo, riconfigura la propria governance sotto un ministero di spesa e di rilancio economico-industriale.

Quindi forse anche nel nostro Paese ci si dovrebbe porre in tempi brevi l’esigenza politica di completare il riassetto istituzionale della governance avviato con la legge 7 del gennaio 2018 che attribuisce al presidente del Consiglio dei ministri l’alta direzione, responsabilità e coordinamento dei programmi spaziali e aerospaziali, ma che per esempio non modifica la statualità dell’Asi che rimane ente pubblico ricompreso tra gli enti di ricerca. Su questo punto però servirebbe una piattaforma politica del Parlamento ampia e condivisa, dato che le strategie che si stanno per definire sui tavoli europei, non solo sui lanciatori, avranno un impatto industriale almeno per i prossimi due o tre decenni.

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