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Nello scontro fra il presidente francese Emmanuel Macron e quello turco Recep Tayyip Erdogan il confine fra nazionalismo e religione si fa molto labile. Parola di Olivier Roy, sociologo francese, tra i massimi esperti di terrorismo islamista al mondo, che crede poco allo “scontro di civiltà” nato dall’omicidio del professore di liceo Samuel Paty per mano di un jihadista ceceno. L’escalation di insulti di Erdogan a Macron (difeso via Twitter anche da Giuseppe Conte) nasconde in verità un desiderio mai sopito del Sultano. Diventare alfiere mondiale dell’Islam sunnita scalzando una volta per tutte l’Arabia Saudita. Ma la strada è ancora in salita.

Roy, dove vuole arrivare Erdogan?

Vuole riempire un vuoto della leadership araba. L’Arabia Saudita ha rinunciato al timone, non gioca più la carta religiosa. Come ha detto Mbs (Mohammed bin Salman, ndr), l’interesse nazionale viene prima di tutto. L’abbandono del Medio Oriente da parte degli Stati Uniti ha aperto una finestra di opportunità per Erdogan.

Perché lo scontro con Macron?

Per due motivi. Uno è dovuto ai tanti fronti geopolitici che vedono su sponde opposte i due Paesi. Libia, Medio Oriente, ora il Nagorno-Karabakh. L’altro riguarda la Francia islamista. C’entrano poco i cartoni. Semmai, il vaso è traboccato con la norma che chiede di schedare gli Imam. Erdogan vuole cavalcare la rabbia della diaspora turca.

Ci sta riuscendo?

Solo in parte. Sta usando la leva religiosa e quella dell’immigrazione per tenere sulle spine l’Europa. Ma non riesce ancora a esercitare un’autorità morale su tutta la comunità islamica. Ha presa sui turchi, meno sugli arabi e sui pakistani.

Secondo i media internazionali la Turchia sta favorendo l’impiego nella guerra del Nagorno-Karabakh di militanti jihadisti. È vero? Possono ravvivare cellule dormienti in Europa?

Non sono jihadisti, ma mercenari. I jihadisti non si fanno pagare. Usa i siriani che hanno combattuto Bashar al Assad e ora non sanno dove andare. Persone che cercano denaro, non indottrinamento. Questo fanno i salafiti che usa in Libia contro Haftar e i miliziani a difesa di Baku.

L’assassino di Paty era un ceceno e così alcuni suoi complici. In quella regione sta rinascendo il terrorismo organizzato?

In questo caso non si parla di gruppi organizzati ma di ceceni in esilio. Sono un popolo piccolo, ma sovra-rappresentato nel mondo dei radicalizzati. In Francia come in altri Paesi europei esiste una seconda generazione di immigrati ceceni arrivati come rifugiati politici che scappavano dalla guerra e ora convertiti all’islamismo radicale. Molti di loro hanno combattuto con Daesh in Iraq o si sono addestrati in Pakistan.

Come inquadrare la nuova ondata di terrore in Francia?

Sono lupi solitari. Fino al 2015 il terrorismo islamista in Francia aveva chiare connessioni con la jihad all’estero e gruppi come Al Qaeda o Daesh. Da allora i protagonisti sono singoli individui, che usano armi artigianali come i coltelli e non hanno a disposizione potenti esplosivi. Gran parte delle cellule dormienti non è riemersa.

Perché proprio in Francia?

Perché in Francia è in corso uno scontro fra laicità e religione. Uno scontro, questo è importante, che va ben oltre l’Islam. La stretta di Macron sulle scuole religiose riguarda anche i cattolici. Questa rigidità sta consegnando le chiavi della religione ai radicali, non permette all’Islam mainstream di farsi spazio.

Come mai in Italia non ci sono attentati?

Ci sono due ragioni. Il primo è l’assenza di una seconda generazione di immigrati. È qui che si rifugiano i radicalizzati in Europa. Il secondo tocca al cuore il problema francese: in Italia la religione è accettata, non censurata. Questa è la chiave per mettere all’angolo gli estremisti.

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