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Lo so: sono il solo a ripeterlo. Può darsi sia stordito. Ma lungi dall’inibirmi quella solitudine rende più evidente quanto la Costituzione sia maltrattata. Per giunta da quanti dovrebbero preservarne e incarnarne lo spirito e la lettera. Capita, così, che nel mentre si vara un decreto legge il cui periodo di vigenza è superiore a quello di utilità, talché il Parlamento non potrà emendarlo e la sola utilità della conversione consisterà nel confermare le sanzioni eventualmente nel frattempo comminate, alla Corte costituzionale s’insedia l’ennesimo presidente in solare violazione del quinto comma dell’articolo 135. Della Costituzione stessa.

In quelle poche righe, chiarissime, la Costituzione stabilisce che la Corte elegge il presidente fra i suoi componenti, e l’eletto rimane in carica tre anni. Rinnovabili una sola volta. Il nuovo presidente, eletto ieri, scadrà il 28 gennaio 2022. Oramai è una consuetudine: si elegge chi va in pensione. Deprimente. Direi anche disonorevole. Nessuno ricorderà mai neanche i loro nomi, giacché troppi e con troppo poco tempo a disposizione. Forse si ricorderà quello di chi si opporrà a tale malcostume, ove mai prenderà corpo.

Non è una fisima, ma una questione di sostanza: con pochi mesi a disposizione non si programmano i lavori, si segue l’andazzo. E a vigilare sul rispetto della Carta è chi avrebbe preteso ci fosse scritto “eleggibile solo se ha tre anni davanti”, non ritenendo abbastanza ovvio che il “rimane in carica” (rinnovabile, per giunta) indica di non fare quel che da molti anni si fa.

All’esame di Diritto costituzionale una delle domande era: si può eccepire incostituzionalità per norme contenute in un decreto legge, non ancora convertito? La risposta era: certo, il problema è trovare un giudice a quo, di causa, che ritenendo rilevante in giudizio e non manifestamente infondata l’eccezione, rimandi tutto alla Corte, ottenendone la pronuncia entro sessanta giorni dall’emanazione. Altrimenti il decreto decade o diventa legge con la conversione.

Ma ora siamo di fronte a un decreto legge che entra in vigore il 19 dicembre e perde valore il 7 gennaio, sicché non solo ogni eccezione la presenti a Babbo Natale, per la Befana sarà già troppo tardi, ma il Parlamento può comodamente andare in vacanza, tanto è inutile discuterlo. Se non per l’aspetto sanzioni: mettiamo io organizzi un veglione con mille persone, pubblicizzandolo, verrò fermato e multato, forse anche incriminato, ma quando, a Babbo (Natale) morto, il decreto sarà roba vecchia se non lo convertono quale reperto archeologico sarà nulla la multa e, forse, posso anche rivalermi per il danno arrecatomi, visto che il veglione è saltato.

Fisime? Può essere. Ma l’indifferenza con cui s’accompagna tutto ciò, l’insensibilità che trova attenuante solo nell’ignoranza, testimoniano che il problema va ben oltre un presidente di passaggio e un decreto già passato.

Il Decreto Natale e la Costituzione maltrattata. I dubbi di Giacalone

Siamo di fronte a un decreto legge che entra in vigore il 19 dicembre e perde valore il 7 gennaio, sicché il Parlamento può comodamente andare in vacanza, tanto è inutile discuterlo. Se non per l’aspetto sanzioni. Ecco perché secondo Davide Giacalone

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