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Con l’approvazione del nuovo decreto sicurezza, con il cui viene introdotta la protezione speciale e divieto di espulsione se c’è il rischio di tortura per il migrante, il tema della sicurezza torna al centro della contesa politica tra maggioranza e opposizione. Ma la gestione dei flussi migratori e il rischio di insicurezza che ne potrebbe conseguire vengono affrontati, da entrambi i fronti politici, senza tenere conto della natura del fenomeno migratorio, delle sue cause e delle relazioni che i gruppi criminali, dediti al traffico di esseri umani, armi, droga e petrolio attraverso il Mediterraneo, hanno con il terrorismo jihadista che minaccia il Medioriente, l’Africa e l’Europa. È quanto osserva con Formiche.net Claudio Bertolotti, direttore di START InSight e dell’Osservatorio sul radicalismo e il contrasto al terrorismo (ReaCT) nel suo ultimo libro “Immigrazione e terrorismo: I legami tra flussi migratori e terrorismo di matrice jihadista” (edizioni Start InSight) da poco nelle librerie.

“È un fatto di necessità che i flussi migratori debbano essere governati, impossibile immaginare una condizione di libertà di accesso al territorio dell’Unione europea”, dice Bertolotti. Che avverte: “È bene porre l’attenzione sul fatto che l’aumento dei flussi migratori dall’Africa attraverso il Mediterraneo, nuovamente in crescita dopo una diminuzione registrata nei due anni passati, è indipendente dalle norme restrittive o meno che i Paesi europei vorranno o sapranno adottare”. Perché? L’esperto invita a guardare alla crescita demografica dei Paesi di origine dei migranti: “Dal 1990 al 2020 la popolazione dell’area africana subsahariana è raddoppiata, passando da 500 milioni di persone a 1 miliardo – di cui il 60% è rappresentata da giovani fino a 24 anni –, mentre i migranti provenienti dalla stessa area sono aumentati del 67%: da 15 a 25 milioni. E il tasso percentuale migratorio (cioè la percentuale di individui che decidono di lasciare l’area di origine per recarsi altrove) è sostanzialmente invariata. Ciò significa che l’aumento dei migranti dall’Africa subsahariana segue l’andamento demografico dei paesi di origine. Non occorre un grande sforzo di analisi per prevedere un aumento complessivo di immigrati nei prossimi anni”.

L’immigrazione irregolare, scrive Bertolotti nel suo libro, “ha assunto una dimensione che ha numerose ripercussioni sulla stabilità nazionale e internazionale, costituendo oggi un fenomeno di grande rilevanza a livello umanitario e per la sicurezza dei Paesi del Mediterraneo e dell’Europa in particolare”. Una situazione che “accende i riflettori sulla problematica dei canali irregolari dell’immigrazione: la complessa operazione di spostamento di vasti gruppi umani tra Paesi richiede un livello di organizzazione che solo la criminalità organizzata, spesso in collaborazione con gruppi terroristi, può raggiungere”.

“Quello che i numeri (italiani ed europei) ci dimostrano e su cui occorre fare un ragionamento politico al fine della prevenzione”, spiega Bertolotti, “è che l’arrivo di grandi popolazioni di migranti, se non adeguatamente gestito, aumenta sensibilmente il rischio di criminalità in generale così come, più nello specifico, di attacchi terroristici nel breve periodo, da parte di immigrati di prima generazione, e, nel medio periodo, da parte di figli e nipoti di immigrati”.

Bertolotti, esiste un legame tra l’immigrazione e il terrorismo?

Nessuna prova empirica ha sinora dimostrato che gli immigrati di prima generazione in quanto tali siano particolarmente propensi ad aderire al terrorismo. È però vero che l’afflusso migratorio di soggetti provenienti da Paesi a maggioranza musulmana in cui il terrorismo è un fenomeno accertato influirebbe in maniera rilevante sul verificarsi di attacchi terroristici nel Paese ricevente.

Esiste dunque una relazione tra i Paesi colpiti dal terrorismo e i Paesi che ne accolgono i migranti?

Da un lato, i migranti provenienti da Stati a prevalenza musulmana e inclini al terrorismo sono in effetti un veicolo importante attraverso il quale il terrorismo si trasferisce ma, dall’altro lato, è evidente che solo una minoranza di migranti provenienti da tali Stati può essere associata all’aumento del terroristico nei Paesi ospitanti. In estrema sintesi, gli immigrati sono un veicolo per la diffusione del terrorismo da un Paese all’altro, ma è improbabile che l’immigrazione di per sé sia una causa diretta del terrorismo. Al contrario, quando l’immigrazione proviene da Paesi non colpiti dal terrorismo, i Paesi riceventi registrano livelli inferiori di attacchi terroristici.

Questo significa che vi è un sempre maggiore rischio in termini di minaccia terroristica con l’aumento dei flussi di migranti?

Sì, ma solo su un piano statistico, poiché più immigrati significa maggiore probabilità che tra questi vi sia un numero superiore di soggetti terroristi o che potrebbero aderire, anche in un secondo momento, alla violenza del terrorismo jihadista. Un allarme, rilevato anche dagli organi intelligence è quello relativo all’infiltrazione di soggetti terroristi all’interno dei flussi migratori, in particolare quelli più sicuri, rappresentati dai cosiddetti sbarchi fantasma sulle coste dell’Italia, della Grecia e della Spagna, a cui accedono migranti irregolari in grado di pagare cifre ben superiori rispetto a chi si affida ai barconi lasciati in mezzo al mare in attesa di un recupero da parte di Ong o navi militari impegnate nel pattugliamento del Mediterraneo. Tra questi con buona probabilità soggetti legati ad organizzazioni terroriste o con un trascorso da jihadisti.

E gli eventi di questo tipo registrati in Europa negli ultimi anni?

Nel 2015-2019 gli attacchi terroristici sono stati compiuti nella quasi totalità da individui stranieri o di origine straniera; sette su dieci sono immigrati di prima generazione; del totale, un terzo sono regolari o regolarizzati; un altro terzo di seconda/terza generazione, cioè figli e nipoti di immigrati. Il 20% dei terroristi che hanno colpito l’Europa erano invece immigrati irregolari e richiedenti asilo. Statisticamente la categoria degli immigrati è quella che con più probabilità aderisce al terrorismo ma questa correlazione non implica un nesso di causalità: cioè non è la condizione di migrante a fare dei migranti dei terroristi, ma il loro trascorso, la condizione in cui si trovano a vivere al momento dell’arrivo, le reti criminali o jihadiste con cui entrano in contatto o dalle quali vengono intercettati.

Cosa lega immigrazione e terrorismo. Lo spiega Bertolotti (Start Insight)

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