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Non uno strumento di Difesa, ma una forza militare al servizio di una realtà politica, ambiziosa e determinata a diventare in breve tempo una potenza globale. È così che il capo del Pentagono Mark Esper avverte gli alleati sui piani militari della Cina. Ieri, in un articolo pubblicato sul Wall Street Journal, il segretario alla Difesa statunitense ha voluto così aprire il nuovo viaggio nel Pacifico verso Palau, le Hawaii e l’isola di Guam, con un duro attacco al braccio armato del Partito popolare cinese, l’Esercito popolare di liberazione (Pla). Il segretario della Difesa statunitense ha ricordato il discorso del presidente Xi Jinping – in occasione del novantatreesimo anniversario della nascita dell’esercito cinese – per accendere i riflettori sulla corposa campagna di modernizzazione militare del Dragone. “Il discorso di Xi Jinping – ha sottolineato – deve essere considerato come il duro promemoria dell’inizio di una nuova era di competizione globale in cui l’ordine internazionale libero e aperto si contrappone al sistema autoritario supportato da Pechino”.

L’ATTACCO DI ESPER

“L’Esercito popolare cinese non è una forza militare che serve la nazione, né tanto meno la costituzione, come invece fanno le forze armate statunitensi: il Pla appartiene e serve una realtà politica, il Partito comunista cinese”. Queste le parole utilizzate da Mark Esper sulle truppe di Pechino. L’enfasi posta dal Partito di Xi sull’indottrinamento, la modernizzazione e sul sempre più stretto controllo sul Pla, secondo il segretario statunitense, “dimostra come i leader cinesi considerino il potere militare come un aspetto centrale per il raggiungimento dei propri obiettivi”. Per far sì che la modernizzazione militare cinese prevista per il 2049 – data simbolica legata al centenario della fondazione dello Stato cinese – non metta in discussione la superiorità militare americana, Esper ha rimarcato l’impegno del Pentagono nel mettere in campo tutte le risorse necessarie per affrontare la minaccia cinese in tutti i domini operativi.

I PIANI DEL DRAGONE

Raggiungere lo status di “potenza militare globale” entro il 2049: questo l’obiettivo stabilito da Xi Jinping nel 2017, in occasione del diciannovesimo congresso del Partito comunista cinese. Un recente paper pubblicato dal Council on foreign relations, ha sottolineato come la volontà cinese di modernizzare le proprie forze armate sia legata a doppio filo con la superiorità militare statunitense manifestata durante i conflitti degli anni ’90. La volontà di diminuire il gap con gli Stati Uniti ha determinato un costante aumento delle spese militari nazionali: nell’arco temporale 1998-2018, infatti, il budget della Difesa cinese ha visto un incremento di 208 miliardi di dollari (da 31 a 239 miliardi). Per il 2020, Pechino ha già approvato un budget per la Difesa che registra un incremento del 6,6% rispetto al 2019, nonostante l’impatto ancora incerto sul Pil della pandemia da Covid-19.

Il varo – lo scorso 22 aprile – della seconda unità d’assalto anfibio Type 075 e l’imponente esercitazione militare tenutasi nel Mar cinese meridionale lo scorso luglio hanno confermato la volontà del Partito comunista cinese di sviluppare le capacità aero-navali che serviranno a Pechino per proiettare la propria forza sulle acque limitrofe. Nonostante gli esperti siano concordi nel riconoscere a Pechino un miglioramento delle proprie capacità militari, molti restano scettici riguardo le reali capacità di un esercito che non scende sul campo di battaglia da circa quarant’anni (ultimo confronto militare risale al 1988 contro il Vietnam) e che sembra non essere, almeno al momento, in grado di emulare o superare la tecnologia militare statunitense.

L’IMPORTANZA DEGLI ALLEATI

Complementare all’evoluzione della Difesa statunitense, Esper ha rimarcato con forza l’importanza del ruolo degli alleati nel confronto sino-americano. “Espandere e rafforzare la nostra rete di alleati e partner è vitale poiché ci dà un vantaggio che i nostri avversari non possono eguagliare”. Secondo le indiscrezioni riportate da The Diplomat, durante il suo viaggio, Esper potrebbe incontrare il ministro della Difesa giapponese Taro Kono: sul tavolo della discussione, il mancato acquisto giapponese di due sistemi antibalistici Aegis e i timori di Tokyo nei confronti delle incursioni cinesi in prossimità delle acque nazionali. Non sembrerebbero confermate, invece, le parole dell’inviato speciale del presidente Donald Trump per il controllo degli armamenti Marshall Billingslea riguardo la possibilità di schierare missili balistici convenzionali a raggio intermedio sul territorio giapponese.

Nonostante il rilevante impegno americano nella regione – sia con uomini e mezzi sul campo, esercitazioni aero-navali congiunte e lo stanziamento di fondi per il rafforzamento delle capacità marittime degli alleati e dei partner attraverso la Maritime security initiative – Esper ha precisato che “gli Stati Uniti non possono sostenere il fardello da soli; incoraggiamo – ha aggiunto – i nostri alleati a condividerlo con noi in modo giusto e equo”. La questione del burder sharing nel Pacifico, infatti, non è meno problematica rispetto a quella comunemente legata alle dinamiche dell’Alleanza Atlantica: lo scorso 3 agosto, il presidente Trump ha nominato Donna Welton come nuovo inviato per le negoziazioni con la Corea del Sud e altri alleati riguardo la condivisione dei costi della difesa (“for defense cost-sharing negotiations with South Korea and other nations”). Tra i principali obiettivi che dovrà raggiungere Welton, il nuovo accordo con l’alleato sudcoreano per il pagamento di 1,3 miliardi di dollari annui per lo stanziamento delle truppe statunitensi nella penisola.

La Cina è già potenza militare. Il Pentagono avverte gli alleati

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