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Includere nel concetto più ampio di difesa anche sicurezza informatica, lotta al terrorismo e contrasto ai cambiamenti climatici. È la proposta avanzata dal premier spagnolo Pedro Sánchez che punta a una ridefinizione della spesa per la difesa che interessa anche al nostro Paese, inserendosi nel dibattito sempre più acceso sul futuro della sicurezza europea. Un’idea che, pur potendo allinearsi in parte a quanto ipotizzato da Roma, trova l’opposizione dei partner europei più vicini alla soglia Nato del 2% del Pil in spesa militare.

Come sottolineato da Sánchez, la Spagna raggiungerà l’obiettivo del 2% prima del 2029, ma ha anche insistito sulla necessità di ridefinire cosa significhi investire in difesa. Per Madrid, la minaccia russa riguarda piuttosto azioni ibride, e non la possibilità che i soldati russi “attraversino i Pirenei”, comprendono scenari più complessi: cyberattacchi, terrorismo e conseguenze delle emergenze climatiche. Un concetto parzialmente condiviso dall’Italia, che già in sede di trattative finanziarie ha spinto per un ampliamento delle spese esentate dai vincoli di bilancio, includendo anche la competitività industriale. Il ragionamento alla base della proposta è che la sicurezza non può più essere valutata solo in termini di armamenti e spese per le forze convenzionali, ma deve tenere conto delle sfide emergenti che colpiscono i Paesi dell’Europa meridionale.

Non tutti i partner europei sono d’accordo. I Paesi nordici e baltici, così come quelli dell’Europa orientale, guardano con sospetto a una ridefinizione della spesa che possa ridurre l’impegno nei confronti delle minacce più immediate. I partner del Nord ed Est Europa temono che Spagna e Italia, nonostante l’impegno dichiarato, non contribuiscano in modo significativo all’aumento delle spese per le forze convenzionali. Il timore è che i membri mediterranei della Nato vogliano investire in difesa senza realmente rafforzare le proprie forze armate.

Sánchez deve affrontare anche le difficoltà interne. La Spagna, che nel 2024 prevede di spendere circa 19,7 miliardi di euro in difesa (pari all’1,28% del PIL), deve fare i conti con la resistenza del proprio Parlamento, dove il partito di sinistra radicale e altri alleati di governo si oppongono a un aumento delle spese militari. Inoltre, il pacifismo storico della società spagnola rende difficile giustificare un forte incremento della spesa. Anche in Italia il tema è delicato. Per Roma la definizione di spesa per la difesadovrebbe ricomprendere anche la competitività, con investimenti in ricerca, innovazione e potenziamento dell’industria, considerati a pieno titolo parte della spesa militare, permettendo così una maggiore flessibilità nei bilanci.

Il dibattito sulla ridefinizione della spesa per la difesa sarà al centro del prossimo vertice Nato di giugno, dove si discuterà anche di un possibile aumento del target al 3% o 3,5% del Pil. Spagna e Italia cercheranno di portare avanti la loro visione, ma dovranno fare i conti con la ferma opposizione dei Paesi già allineati al 2%. Sánchez, da parte sua, ha ribadito che “la pace in Ucraina e la prosperità in Europa sono due facce della stessa medaglia”. Nel frattempo, resta aperta la questione di come garantire la sicurezza senza compromettere la stabilità economica e sociale dei Paesi del Mediterraneo.

Ridefinire la difesa Nato con cyber, clima e terrorismo. L’idea di Madrid (e Roma)

Includere nel concetto di difesa anche sicurezza informatica, lotta al terrorismo e contrasto ai cambiamenti climatici: è la proposta avanzata dal premier spagnolo Pedro Sánchez. Un’idea che cerca di adattare la spesa militare alle sfide del Paese, ma che trova l’opposizione dei Paesi dell’Europa nord-orientale. Un tema che sarà al centro del prossimo vertice dell’Alleanza

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