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Da ieri molti media italiani parlano del caso di Israele come del primo al mondo ad aver adottato un secondo lockdown. Almeno nei titoli, la notizia è data praticamente per certa, ma vi sono alcune evidenze che pare qui opportuno mettere in luce.

La prima: la decisione di una seconda chiusura, sebbene probabile, non è affatto stata presa. Al di là dell’allarmismo lanciato dai giornali, al momento quella del secondo lockdown è infatti solo una proposta della task force dedicata alla gestione del Coronavirus. Il governo di Benjamin Netanyahu si pronuncerà in proposito nella giornata di domani. Nulla è deciso, dunque, e ciò che in Italia viene sbandierato come il primo caso al mondo di secondo lockdown non è affatto certo né già stabilito, né, oltretutto, il primo: l’Australia, è il Paese dove si sta imponendo una seconda chiusura, contenuta al solo Stato di Victoria, fino al 28 settembre e con numeri davvero irrisori (788 morti in tutto il paese), che hanno portato anche a molte proteste da parte della popolazione.

La seconda: le chiusure proposte dalla task force governativa sarebbero di sole due settimane, con restrizioni meno forti a partire dal 2 al 15 ottobre. Ciò che spesso si dimentica di dire è che tale proposta sarebbe in buona parte dettata dall’imminente capodanno ebraico (dal 18 al 20 settembre) e dalle altre festività che si susseguiranno proprio nell’arco di questi 30 giorni: lo Yom Kippur dal 27 al 28 settembre e il Sukkot dal 2 al 9 ottobre. Le limitazioni sarebbero nelle prime due settimane per gli spostamenti oltre i 500 metri dalla propria abitazione, riguarderebbero la scuola, i ristoranti e i luoghi di aggregazione. Nel secondo periodo, avrebbero a oggetto la mobilità tra le diverse città, i raggruppamenti all’interno degli edifici e all’esterno, e la riduzione tra il 30 e il 50% della presenza del personale nei luoghi di lavoro. Il Jerusalem Post scrive delle proposte in dettaglio.

La terza: non c’è alcuna comprovata correlazione tra riapertura delle scuole, evocata da qualcuno, e l’aumento dei contagi registrato nelle ultime settimane. Le scuole erano infatti state riaperte già a metà maggio e l’aumento rilevante dei contagi si è verificato solo nelle ultime due settimane. Il dato che più ha preoccupato è quello di giovedì, quando su 47 mila tamponi i casi positivi sono risultati 4.000.

La quarta: nonostante la situazione a oggi sotto controllo, ma che desta qualche preoccupazione per la tenuta degli ospedali come alcuni media rilevano, Israele conta oggi in totale 1.086 morti Covid su una popolazione di circa 9 milioni di abitanti. Si tratta di un bassissimo tasso di mortalità (118 morti su un milione di abitanti). In Italia, con 589, siamo al decimo posto tra gli Stati più colpiti. Nel caso di Israele, si tratta di dati davvero molto contenuti che ci dicono, al momento, di una buona, se non ottima, gestione del virus.

L’evocazione del caso di Israele a reti unificate in Italia appare dunque quanto mai bizzarra, poiché sembra non tener affatto conto delle specificità politiche interne al paese – tra le accuse di corruzione al premier Netanyahu e le risposte di tentativo di golpe ai suoi danni –, quelle relative alle relazioni internazionali – con la normalizzazione dei rapporti con Barhein ed Emirati Arabi –, culturali e religiose, oltre che sanitarie. Bisogna poi tener conto che in passato il paese aveva adottato forme assai più contenute di chiusura rispetto all’Italia: ciò che molti media, da noi, omettono.

Il dato ulteriormente interessante è che, paradossalmente, nei media israeliani la notizia trova meno enfasi rispetto a quelli italiani: basta scorrere qualche quotidiano online israeliano per capire che, sul famigerato secondo lockdown, vi sono solo più o meno sporadici commenti.

Lockdown in Israele? Ricci legge i titoloni (un po’ fake) dei giornali italiani

Di Alessandro Ricci

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