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La discussione in corso sullo smart working investe il futuro del lavoro. Abbiamo impropriamente ricondotto alla modalità descritta dalla legge sul lavoro agile l’esperienza indotta dalla crisi pandemica. Come ben sappiamo, datori di lavoro pubblici e privati hanno per lo più chiesto al lavoratore prestazioni tradizionali dal domicilio coatto. Si è così prodotto una sorta di telelavoro dalla postazione domestica secondo una moderata relativizzazione dell’orario. Solo una minoranza di prestatori, già in precedenza dotati di autonomia responsabile, hanno accentuato questa caratteristica lavorando senza orario e senza disconnessione.

Il lavoro agile o “intelligente” dovrebbe invece, secondo la stessa legge che lo ha regolato, caratterizzarsi per il passaggio dall’orario al risultato quale misura della prestazione. Questo significa collocare il lavoro in nuovi modelli organizzativi di impresa che qualcuno è arrivato a definire “olocratici”, ovvero non più gerarchici ma orizzontali e a potere distribuito. In questi contesti non sarebbe quindi immaginabile una relazionalità tutta e solo virtuale. Il superamento del vincolo dell’orario elimina concetti come i permessi o lo straordinario ma non esclude, anzi implica, la presenza nella sede direzionale secondo esigenze flessibili o periodiche.

La confusione crescente tra subordinazione e autonomia dovrebbe dare luogo non alla rigida omologazione della seconda alla prima ma alla individuazione di una base comune di diritti e doveri, a partire da una disciplina della salute e sicurezza coerente con la possibilità per il prestatore di scegliere frequentemente il luogo di lavoro. Il che non significa meno regole ma, al contrario, un rafforzamento della regolazione prevenzionistica a tutela della persona nella sua integralità.

La migliore conciliazione tra tempo di lavoro e tempo di famiglia è un gradito effetto collaterale ma non può dare luogo a rigidi obblighi, soprattutto quando i contesti produttivi non si sono ancora trasformati o potuti trasformare.

Leggi e contratti dovrebbero accompagnare un progetto condiviso tra le parti sociali senza forzature o letture ideologizzate.

Lo smart working è un modo non per accompagnare la società verso la fine del lavoro ma per aumentare l’intelligenza del lavoro nella concorrenza con le nuove macchine.

Smart working, fine del lavoro o inizio dell’intelligenza aumentata? Risponde Sacconi

La discussione in corso sullo smart working investe il futuro del lavoro. Abbiamo impropriamente ricondotto alla modalità descritta dalla legge sul lavoro agile l’esperienza indotta dalla crisi pandemica. Come ben sappiamo, datori di lavoro pubblici e privati hanno per lo più chiesto al lavoratore prestazioni tradizionali dal domicilio coatto. Si è così prodotto una sorta di telelavoro dalla postazione domestica…

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