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L’ottobre appena concluso ha segnato in modo marcato l’impegno americano nell’Indo-Pacifico ed è stato il mese più proficuo (tra quelli recenti) per strategia e tattica statunitense, che vede l’impegno nella regione come la più logica componente geopolitica del confronto globale con la Cina.

Sulle colonna delle vittorie dirette, Washington segna certamente l’accordo di cooperazione militare con Nuova Delhi. Con l’India non s’è formalizzata un’alleanza ma questa terza intesa in due anni arriva in un momento in cui i rapporti del subcontinente con Pechino sono verso minimi storici.

In più, la nuova cooperazione segue quella che sembra una rottura degli indugi indiani nel partecipare a sistemi tattico-strategici anti-cinesi, come il Quad. Washington vorrebbe istituzionalizzare questo spazio di dialogo sulla sicurezza (in realtà geopolitico) tra Usa, India, Australia e Giappone: ancora non siamo a quel punto, ma i progressi sono molti.

Soprattutto perché gli Usa — che per dottrina adesso preferiscono meno coinvolgimento diretto e più appoggio da alleati locali — hanno trovato la sponda giapponese. Tokyo è tornata a muoversi in modo indipendente nella regione, seguendo i propri interessi nazionali, ma questi sono sovrapponibili a quelli statunitensi.

La prova sta nelle esercitazioni militari “Keen Sword” e “Noble Fury”, e addirittura si è tornato a parlare dell’invio di truppe Usa nelle Senkaku — isole nel Mar Cinese oggetto di una contesa territoriale storica tra Giappone e Repubblica popolare. Pechino ha già definito il potenziale invio un “atto di guerra”, alla stregua della creazione di un contingente militare all’interno dell’isola di Taiwan.

Washington ha stretto sempre più i rapporti con Taipei, e in questa settimana ha approvato la cessione di nuova componentistica militare: su tutti le batterie di artiglieria Himars e i missili anti-nave Harpoon. Armi che servono all’isola — considerata una provincia ribelle dal Partito/Stato cinese da riannettere anche con la forza — per crearsi un guscio protezione secondo il progetto americano di trasformarla in un porcospino inattaccabile.

Non sono mancati in questi giorni insuccessi: per esempio il rifiuto indonesiano nello schierarsi più apertamente con Washington nella partita anti-cinese in corso nel Pacifico. Ma per ora è accettabile: nel caso si chiedeva a Giacarta di dare la possibilità ai pattugliatori che la US Navy usa per monitorare il Mar Cinese di fare scalo tecnico nelle basi indonesiane, e il rifiuto all’appoggio logistico (già fornito da altri paesi) potrebbe non essere eterno.

Tramite il segretario di Stato gli Stati Uniti hanno pressato l’Indonesia a chiedere giustizia per i musulmani uiguri che la Cina ha messo sotto rieducazione staliniana nello Xinjiang, sollecitando un tema di carattere ideologico-culturale che mette in difficoltà la più popolosa nazione musulmana del Sud-est asiatico — mossa puramente strumentale di Washington, che infatti non ha mai avanzato richieste simili a giganti islamici come Egitto o Arabia Saudita o Emirati Arabi.

Restando sulla sfera indiretta, altri due successi per gli Usa. Il primo riguarda l’accordo tra Regno Unito e Giappone. Il tema di fondo del primo deal post-Brexit è ancora la compattazione delle partnership filo-occidentali che ha in automatico una dimensione anti-Cina. In questo caso il riflesso cade sull’allargamento a Tokyo dell’alleanza di intelligence 5 Eyes, base con il Quad di una futuribile “Nato Asiatica” — che però per ora non piace troppo al Giappone.

Successo indiretto è anche il risultato non pro-Cina al referendum con cui la Nuova Caledonia ha scelto di restare francese e di non scegliere un’indipendenza che l’avrebbe portata a scarrellare definitivamente nella sfera d’influenza di Pechino. Sia qui che con l’accordo Tokyo-Londra vediamo tra l’altro il concretizzarsi dei limiti segnati dagli Usa: gli Stati Uniti danno alte aliquote di indipendenza a partner e alleati, a patto che questi accettino di non sfuggire troppo dal grande piano.

Infine, c’è da segnare l’arrivo a fine mese dell’accordo per l’apertura di un’ambasciata americana alle Maldive, con cui è stato anche siglato un accordo di cooperazione militare che servirà agli Usa per usare gli atolli come scali tecnici. Infine, sempre all’interno della tattica statunitense di creare una cortina di contenimento cinese anche attraverso gli archi insulari del Pacifico, c’è da ricordare l’annuncio dell’invio della Coast Guard nelle Samoa Americane per controllare la pesca illegale cinese.

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