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Il dado è tratto. Con la ricandidatura di Virginia Raggi alla guida del Campidoglio il Movimento Cinque Stelle muove un passo verso l’unica direzione possibile: quella di farsi partito. Che questo sia il capolinea, e non un nuovo inizio, è tutto da dimostrare.

Benedicendo il Raggi-bis con un laconico “Daje”, Beppe Grillo completa un disegno avviato da tempo. Quello, per prendere in prestito un’immagine cara all’universo pentastellato, di diventare “la scatoletta” di tonno “aperta” quasi dieci anni fa. Cioè divenire un perno insostituibile della politica italiana, accantonando una volta per tutte l’idea, squisitamente dibattistiana, di un Movimento “di servizio” e non “di struttura”.

Non servirebbe richiamare la celebre definizione di Rino Formica (la politica come “sangue e merda”) per capire che leggere la politica con la sola lente della “coerenza” è sempre un rischio. Fu politica nel senso più tradizionale e autentico del termine l’“incoerente” scelta di Matteo Renzi di inaugurare il governo rossogiallo, evitando di consegnare Palazzo Chigi a Matteo Salvini.

Lo è tanto più la scelta del Movimento di superare la regola dei due mandati, sugellata da una sincera ammissione del capo Vito Crimi: il mandato zero ha mostrato “nella sua concreta applicazione, delle criticità dovute alla complessità”. Politica è rinnovare e rafforzare l’alleanza con il Pd con una continua negoziazione, senza cedere alla tentazione dell’inerzia.

È il caso di dire, allora, che la regia di Grillo e Luigi Di Maio ha davvero rimesso “in movimento” i Cinque Stelle. La blindatura della Raggi rassicura la pattuglia parlamentare, perché ufficializza la (buona) notizia del movimento che si fa partito, e alza la posta in palio con i dem (comunque vada a Roma, i pentastellati saranno ago della bilancia).

Ma la partita per la capitale è solo una faccia della medaglia. Se un segno di maturità si vuole riscontrare nella Fase 2 del Movimento, è quello di voler superare la natura “territoriale” degli esordi per trasformarsi un vero partito-Paese. Le “gambe” ben fisse al Sud, dove ancora la base e i meet-up hanno l’ultima parola. La “testa”, invece, a Nord.

Non si spiega altrimenti l’incontro, nella serata di martedì, fra Grillo e il sindaco di Milano Beppe Sala, sulla riviera toscana. Un ritrovo amichevole, assicurano. Eppure un anno fa furono loro, i due “Beppi”, tra i primi a tessere la tela dell’alleanza rossogialla, la stessa che in tanti, da entrambe le parti, ora vorrebbero disfare.

Se il Sud, a partire dalla Puglia, che l’analista di YouTrend Giovanni Diamanti ha efficacemente ribattezzato l’”Ohio” delle prossime regionali, farà da test di prova per la tanto annunciata “alleanza organica” fra partner di governo, è a Nord che il Movimento studia la cartina, prepara il piano. Lì, all’ombra della Mole e non del Colosseo, cresce e si rafforza uno dei volti più spendibili ed efficaci della “nuova fase” del Movimento. Chiara Appendino, sindaco di Torino, sembra pronta a riporre le vesti di primo cittadino per indossare quelle di (papabile) leader nazionale.

Insomma, quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare. E i Cinque Stelle sanno che il gioco sta per farsi durissimo, con una partita referendaria vinta in partenza, ma turbata dalla polemica dei furbetti dell’Inps, e una tornata di elezioni regionali che si preannuncia piena di insidie.

Accettando di abbracciare la natura di “partito”, il Movimento può presentarsi più forte all’appuntamento. Certo, il percorso non finisce qui. Restano nodi da sciogliere per consacrare il momento di passaggio.

Il primo porta il nome di Rousseau, cioè di quella piattaforma online ancora (sempre meno) innalzata a decisore di ultima istanza, pronta a emettere il suo verdetto sul ritorno di Virginia Raggi.

Il secondo tocca il cuore di quell’alleanza organica, che di qualcos’altro deve pur vivere, oltre che di semplice tattica elettorale. I primi banchi di prova lasciano ancora qualche dubbio. Si inizia dalla Sardegna: Pd e Cinque Stelle correranno insieme alle suppletive con Lorenzo Corda.

E non promette bene, confida a Formiche.net un padre nobile dei dem come Arturo Parisi: “L’alleanza, priva anche solo di uno straccio di progetto comune per il Paese, è stata stretta senza che sia possibile trovare alcuna traccia di confronto politico fra le forze in campo e meno che mai all’interno di esse – chiosa – nessun progetto davanti, nessun confronto alle spalle. Onestamente un esempio di antipolitica maggiore di questo farei fatica a trovarlo”.

Grillo fa centro! Così Il M5S si fa partito e il Pd abbraccia l’antipolitica

Il dado è tratto. Con la ricandidatura di Virginia Raggi alla guida del Campidoglio il Movimento Cinque Stelle muove un passo verso l’unica direzione possibile: quella di farsi partito. Che questo sia il capolinea, e non un nuovo inizio, è tutto da dimostrare. Benedicendo il Raggi-bis con un laconico “Daje”, Beppe Grillo completa un disegno avviato da tempo. Quello, per…

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