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Da due settimane migliaia di giovani nigeriani stanno protestando contro violazioni dei diritti, abusi di potere, autoritarismo della polizia nigeriana. Amnesty International ha denunciato che ci sarebbero almeno 15 morti, uccisi durante gli scontri con cui le autorità hanno cercato di reprimere i disordini. Le proteste sono state concentrate soprattutto contro la Special Anti-Robbery Squad (Sars), un’unità speciale della pubblica sicurezza che da anni è collegata a estorsioni, ricatti, rapimenti, torture fino a esecuzioni extragiudiziali. La attività della Sars sono oggetto di denunce fin dal 2017, quando nacquero i movimento “EndSars”: una situazione che si è riaccesa quando dal 7 ottobre sono iniziate a circolare le immagini dell’uccisione di un ragazzo da parte della Sars.

Davanti alla crisi interna, la scorsa settimana il presidente Muhammadu Buhari ne ha accettato lo smantellamento: ma i manifestanti sono rimasti sulle proprie posizioni. Molto scettici, considerano la Sars come un’entità a sé che ha acquisito molto potere e difficilmente accetterà di essere riformata attraverso un’integrazione all’interno delle strutture normali della polizia – dove, secondo quanto ritengono i manifestanti, continuerà a muoversi come una squadraccia indipendente. Il punto è che lo scontro sull’unità speciale diventa solo un pezzo della partita.

I giovani rappresentano la maggioranza demografica (sono circa la metà dei 200 milioni di abitanti nigeriani) e l’accettazione del presidente Buhari potrebbe essere vista come un’apertura davanti a future istanze. Come nota Giovanni Carbone (capo del programma Africa dell’Ispi) si tratta di una generazione molto abile a spingere le proprie attività sui social network e a coordinare tramite questi spazi digitali le mobilitazioni. L’hashtag #EndSars è diventato globale, e diverse personalità internazionali del mondo dello spettacolo e dello sport l’hanno usato per condividere le istanze dei giovani nigeriani.

Un aspetto, questa modernità delle proteste, che si distanzia dall’incedere vecchio del presidente Buhari. Una distanza che rappresenta una faglia socio-politica interna. Su questo si basano cinque ulteriori richieste avanzate dai manifestanti: il rilascio immediato dei manifestanti arrestati; processi equi per le vittime della brutalità della Sars e il pagamento di un indennizzo alle famiglie; un tribunale indipendente che si faccia carico di controllare la polizia; un check-up psicologico per gli agenti della Sars prima che assumano altri incarichi; e infine l’aumento salariale per le forze dell’ordine (come leva per evitare che scivolino in tentazioni violente per alzare le proprie paghe).

Il punto è che da queste richieste prende slancio l’emancipazione di una fetta demografica importante che chiede giustizia, meritocrazia, una società più equa, la fine dei sistemi corrotti e delle prevaricazioni sociali. La Nigeria è un gigante africano, la migliore economia (ha da tempo superto il Sudafrica), un Paese che ha un Pil in sviluppo da anni (2,3 nel 2019 sebbene in contrazione) e che soffre contraddizioni interne profonde. Le aree rurali infatti vivono distanti anni luce agli sviluppi urbani e alle ricchezze del settore petrolifero ed estrattivo (tra i più forti del continente). Disparità che nell’area settentrionale sono aggravate anche dalla diffusione endemica di gruppi jihadisti che hanno anche attinto a queste disuguaglianze per permettere l’attecchimento delle proprie predicazioni e creare proseliti.

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