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Al referendum costituzionale voterò No. Altri e più autorevoli di me hanno spiegato in queste settimane perché nel merito e metodo questa riforma è sbagliata. Non ripeto le loro argomentazioni, i miei motivi sono più semplici ed essenzialmente due, entrambi squisitamente politici.

Prima però faccio una premessa. Non appartengo a quelli che considerano la Costituzione intoccabile, né a quelli che ci raccontano della deriva autoritaria ogni volta che si prova a riformare il testo costituzionale. Sono a favore di una modifica sostanziale del bicameralismo perfetto, di una semplificazione del quadro istituzionale e del ritorno di una serie di competenze allo Stato centrale. Nel 2016 ho infatti votato Sì, non me ne pento e anzi penso che sia stata una grande occasione sciupata a causa di errori macroscopici e per miopia politica.

Questa però non è una riforma, è solo il taglio del numero dei parlamentari. Se dovesse vincere il Sì, avremmo 600 parlamentari. Cosa abbia a che fare il numero di deputati e senatori con l’efficacia e l’efficienza di un sistema istituzionale, nessuno lo sa dire. Oggi o il giorno dopo l’eventuale vittoria del Sì, avremmo meno parlamentari ma con le medesime funzioni. Nei fatti non cambierebbe nulla, come anche vicino allo zero sarebbe il risparmio in termini di riduzione dei costi della politica.

Vi confesso, ero orientato all’astensione. Non volevo prendere parte a un referendum costituzionale inutile, i cui effetti nella vita del Paese saranno uguali al resto di niente. Ma le condizioni generali, la data del voto, la scarsa presa del referendum nell’opinione pubblica mi hanno convinto che non potevo astenermi e, peggio ancora, restare indifferente.

E qui arriviamo al primo motivo politico per cui voterò No. È infatti facile scommettere che la partecipazione al voto sarà bassissima. Per il poco interesse generale sul tema, per la ripresa dei contagi e le preoccupazioni da essi generati nel Paese reale, per la poca confidenza degli italiani con il voto in autunno. Questo significa – non essendo necessario alcun quorum – che pochi milioni di italiani potrebbero decidere per tutti i 50 milioni di elettori. Seppur legittimo, lo trovo politicamente dannoso per il Paese. Per me votare No è quindi un atto di – etimologicamente – resistenza e significa per me che la Costituzione si può cambiare, sì ma non così.

Il secondo motivo è ancora più semplice. Il taglio dei parlamentari, in assenza di un quadro organico di riforma costituzionale, è semplicistico, è uno slogan, è intimamente anti-politica. Dall’inizio degli anni ’90 assistiamo all’indebolimento dei soggetti politici e di partito e contemporaneamente al rafforzamento di altri poteri, spesso totalmente slegati dal controllo popolare. La continua delegittimazione politica ci ha consegnato un Paese più debole, incapace di uscire da quasi trent’anni da una transizione verso un sistema moderno e funzionale. Il taglio dei parlamentari è anch’esso figlio della narrativa anti-casta che vuole la politica più debole e quindi maggiormente subordinata ad altri soggetti. È tempo, invece, di invertire questo processo. Votare No significa dare scacco matto alle derive populiste di questi anni che Dio solo sa quanti danni hanno fatto all’Italia.

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