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Il presidente kirghiso Sooronbay Sharipovich Jeenbekov non si trova, ma ha rivendicato la sua legittima autorità. Dopo i disordini post-elettorali che hanno portato alla frantumazione della leadership di Bishkek, il capo di Stato è scomparso. L’ultimo contatto noto ce lo ha avuto con la BBC, che lo ha raggiunto per un’intervista telefonica il secondo giorno dopo l’inizio della proteste. Lì aveva annunciato la possibilità di dimettersi, l’accettazione della decisione della Commissione elettorale di invalidare il voto parlamentare di domenica (per brogli) e dichiarato che quello che stava succedendo era frutto di una faida politica contro di lui (sottinteso: portata avanti dall’ex presidente Almazbek Sharshenovich Atambayev, liberato in questi giorni dal carcere per mano dei manifestanti e già tornato a esercitare il proprio potere).

Girano voci che Jeenbekov sia in Russia – luogo-rifugio in cui corrono tutti i leader delle repubbliche ex-sovietiche in difficoltà. Sono rumors per niente affidabili, che Mosca smentisce. A parlare dal Cremlino è il portavoce presidenziale, Dmitri Peskov: “Ogni speculazione su questo dossier è inappropriata”. Peskov – noto per diffondere anche verità relative, informazioni alterate e propagandistiche – taglia corto e non dà spazio a quelle voci (verosimili certamente, ma non poggiate su nessuna prova certa). Tuttavia c’è un elemento su cui certamente Peskov non mente: per la Russia è fondamentale ristabilire l’ordine in Kirghizistan, altra grana per il Cremlino – dopo Bielorussia e Nagorno-Karabah – in un’area in cui vorrebbe esercitare influenza in forma indisturbata.

Il vuoto di potere nel Paese è un fattore problematico e la fuga (comprensibile) di Jeenbekov non rende certo aiuto alla stabilizzazione di una crisi che sembra posta su un piano inclinato. Attualmente, nessun organo di potere legittimato è attivo nel Paese ad eccezione del parlamento uscente – teoricamente rinnovato domenica scorsa, con elezioni però annullate. Oltretutto Jeenbekov è stato messo sotto procedura di impeachement da parte di alcuni parlamentari uscenti dell’opposizione. Il Paese dell’Asia centrale al confine con la Cina è passato già recentemente per due rivoluzioni, sfociate anche in violenza etnica nei territori al confine con l’Uzbekistan.

Contemporaneamente a Jeenbekov, ma non si sa se insieme, è scomparso anche l’ex primo ministro Kubatbek Boronov e secondo quanto annunciato alla Interfax dal vice segretario del Consiglio di Sicurezza kirghiso Omurbek Suvanaliyev “i funzionari che hanno lasciato i loro posti di lavoro sono alloggiati in case sicure”. “Non possiamo dire esattamente dove – spiega – molti di loro sono nascosti. Alcuni, come Boronov, sostengono di lavorare a distanza e non hanno presentato le dimissioni. Il numero di questi revanscisti è piuttosto elevato, il che può portare a violenti scontri”. Le frontiere del Paese sono state chiuse in via precauzionale. Jeenbekov ha diffuso alcuni video e avrebbe rivendicato il suo ruolo in una conversazione telefonica con il presidente del Parlamento uscente (un suo alleato politico).

 

(Foto: Twitter, @mfa_russia, l’incontro tra Jeenbekov e il ministro degli Esteri russo Lavrov nel febbraio 2019)

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