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Quando un politico finisce sotto inchiesta sarebbe auspicabile, evenienza che oggi purtroppo non è affatto scontata, che il diritto e la politica facessero il loro corso in piena indipendenza. Il che però non significa escludere che gli sviluppi e poi l’esito di un procedimento non abbiano un valore e delle conseguenze politiche.

Da questo punto di vista, si può dire che Matteo Salvini abbia non solo passato indenne il primo round del processo che lo vedo coinvolto a Catania, ma lo abbia anche stravinto. È vero che il giudice dll’udienza preliminare Nunzio Sarpietro non ha accolto la richiesta di proscioglimento giunta dalla Procura, ma non ha nemmeno rinviato l’imputato a giudizio per “sequestro di persona” (nella fattispecie i 131 migranti tenuti fermi sulla imbarcazione Gregoretti per cinque giorni a fine luglio 2019). La “terza via” che ha deciso di percorrere il Gup, quella dell’approfondimento di fatti e documenti che ai suoi occhi risultano allo stato attuale contraddittori, non solo permette a Salvini di conquistare tempo, ma, per le modalità in cui verrà ad esplicarsi, rappresenterà per lui un indubbio successo di immagine.

Seppure solo (almeno per ora) come testimoni, nelle aule del tribunale di Catania sfileranno infatti nei prossimi mesi il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che ricopriva lo stesso ruolo anche nel governo di cui Salvini era ministro dell’Interno, l’allora vicepremier Luigi Di Maio, due ex ministri di peso come Danilo Toninelli ed Elisabetta Trenta e, insieme all’ambasciatore italiano presso l’Unione Europea Maurizio Massari, persino il successore di Salvini al Viminale.

La presenza di Luciana Lamorgese sarà particolarmente importante, nonostante che all’epoca dei fatti fosse un semplice prefetto: il giudice ha ritenuto necessario capire infatti non solo l’eventuale corresponsabilità di ministri e premier di allora (fosse pure solo per non avere fermato il loro collega o averne preso le distanze pubblicamente), ma anche in che misura la politica di Salvini sugli sbarchi sia continuata, seppure non sotto i riflettori, successivamente. Se ciò, come parrebbe, fosse appurabile facilmente perché verificatosi in più di un caso anche con l’attuale esecutivo, la dimensione del tutto politica, e cioè strumentale, con cui il Parlamento ha dato il nulla osta al processo, persino sconfessando le richieste della Commissione per le autorizzazioni a procedere presieduta da Maurizio Gasparri, verrebbe fuori in tutta evidenza. E probabilmente si rivolterebbe come un boomerang contro lo stesso governo attuale.

A Salvini restano ora due strade: o giocarsi mediaticamente e politicamente la vittoria di ieri di Catania, costruendo una contronarrazione efficace che appunto favorisca presso l’opinione pubblica il formarsi di un giudizio altamente negativo sull’attuale esecutivo; oppure lasciare che la presumibile evoluzione per sé positiva, in un senso o nell’altro, degli avvenimenti legati al procedimento faccia il suo corso.

In un’ottica politica di lungo periodo, ma soprattutto in una sistemica e super partes, sarebbe preferibile la seconda opzione. Probabilmente, Salvini non acquisterebbe altri e facili consensi presso i cittadini, ma trasmetterebbe una immagine di sé solida e istituzionale. Soprattutto spezzerebbe quel circolo vizioso che da un quarto di secolo a questa parte porta la politica, di destra come di sinistra, a utilizzare la magistratura per i propri fini, cioè per eliminare gli avversari, mettendo spudoratamente in atto una doppia misura a seconda che gli inquisiti siano della propria o dell’altrui parte.

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