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Un taglio, significativo, dell’Irpef da incastonare in una grande riforma dell’imposta sulle persone fisiche che potrebbe valere ben 10 miliardi. Il governo ci riprova ad aprire il cantiere fiscale, all’indomani di un decreto Agosto che lascia parecchi interrogativi sulla sua effettiva portata e a pochi mesi dall’arrivo dei primi fondi (26 miliardi, circa) frutto del Recovery Fund. Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, con un’intervista a Repubblica sembra proprio aver rimesso al centro dell’agenda l’operazione di chirurgia fiscale che punta a ridare all’imposta la giusta progressività, ricaricando le bombole di ossigeno di un ceto medio ormai allo stremo. Formiche.net ha sentito in merito Nicola Rossi, economista e membro del board dell’Istituto Bruno Leoni.

Rossi, il governo sta lavorando a una riforma dell’Irpef che può valere 10 miliardi di euro. Non è la prima volta che se ne parla, ma sorgono due domande: dove prendere 10 miliardi e poi, una riforma dell’Irpef è davvero quello che serve a un Paese e a una classe produttiva in ginocchio?

Le domande da porsi dovrebbero essere più che altro due. Primo: si vuole abbassare la pressione fiscale? Secondo: si vuole riformare il sistema fiscale? I due piani non andrebbero sovrapposti.

Dunque?

Alla prima domanda la risposta dovrebbe essere certamente positiva essendo però consapevoli che una riduzione duratura e credibile della pressione fiscale è possibile solo finanziandola con un taglio permanente della spesa. Se il finanziamento avvenisse attraverso il taglio o la necessaria riorganizzazione delle spese fiscali, ovviamente, non si avrebbe alcuna riduzione della pressione fiscale. E se avvenisse invece in deficit la riduzione della pressione fiscale non sarebbe nè duratura nè credibile. E per restituire fiducia e ridurre l’incertezza in cui si muovono famiglie ed imprese credibilità e permanenza della riduzione della pressione fiscale sono essenziali.

Immagino ci sia anche una ricetta per riformare il nostro sistema fiscale…

Se si vuole anche riformare il sistema fiscale – cosa urgente e necessaria – allora non ci si può limitare ad un intervento al margine sull’Irpef (così come ripetutamente avvenuto negli anni passati con i noti e deludenti risultati). Al sistema fiscale va restituita una logica di insieme che gli interventi spesso scriteriati degli ultimi 25 anni hanno pressochè azzerato.

Per esempio?

Alcune imposte (l’Irap, ad esempio, ma anche l’imposta di registro) vanno eliminate. Altre (l’Irpef ma anche l’Ires) vanno ripensate. Rimarrebbe solo da osservare che la lotta all’evasione dovrebbe essere la conseguenza di interventi di riforma strutturali e non la premessa finanziaria degli stessi: ma, come sappiamo bene, la lotta all’evasione è spesso un comodo alibi per sfuggire alle scelte più difficili.

Molti osservatori hanno accusato il decreto Agosto di scarsa portata strutturale: tante misure tampone, d’urgenza, ma non una vera visione macroeconomica che possa essere la cornice adeguata a ricevere le enormi risorse del Recovery fund. Se la sente di condividere?

Tutti gli interventi adottati negli ultimi sei mesi hanno una ridotta natura strutturale e si sono ispirati principalmente ad una logica di rinvio. E naturalmente la logica del rinvio, una volta adottata, rende sempre più difficile il passaggio ad una logica di intervento complessivo. Stiamo rinviando quest’ultimo momento ai mesi e agli anni prossimi ma temo che in questo frangente l’Italia sia stata molto sfortunata.

Converrà che non è possibile perdere un’occasione come il Recovery Fund…

Il supporto europeo – che certamente c’è anche se di entità inferiore alle cifre di cui si parla – arriverà a partire dal 2021. Il rischio che più che alla prossima generazione europea questi fondi servano alla prossima elezione politica italiana è – a mio modo di vedere – molto concreto. Anche per questo motivo dubito che una visione di medio-lungo periodo finisca per emergere con chiarezza.

Rossi, cinque provvedimenti anti-Covid sono costati finora 100 miliardi di deficit aggiuntivo. Ora, l’Europa ce lo permette, ma non crede che i nodi verranno al pettine? Le nostre finanze fino a quando potranno resistere allo sforzo visto e considerato che le risorse del Recovery non sono eterne?

Credo che il disavanzo che era possibile creare sia stato creato in questi ultimi sei mesi. La discussione sul Mes ci dirà quanto vicini al pettine siano i nodi (ed io penso che siano tanto vicini da consigliarci di utilizzare le risorse del Mes senza troppe discussioni).

Insomma, sarebbe bene pensare a un dopo, più che a un presente?

In realtà nel panorama della finanza pubblica italiana – contrariamente a quanto molti sembrerebbero pensare – di eterno non c’è nulla. Certamente non le risorse di Next Generatio Eu le cui condizionalità si sottovalutano fin troppo. Certamente non l’assenza di regole di responsabilità fiscale (solo temporaneamente sospese ma certamente non abrogate): e sia chiaro, quando torneranno in vigore potrebbero farlo con modalità per l’Italia anche più stringenti di quanto non sia accaduto in passato. E, infine, di eterno non c’è nemmeno l’atteggiamento della Banca Centrale Europea. Il che suggerisce che anche il nostro modo di essere – bassa produttività ed alto debito – potrebbe non essere eterno. O, se lo fosse, non lo sarebbe in un contesto di rapporti internazionali come quello attuale.

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