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Condizioni. Condizionalità. Per mesi non si è parlato d’altro. Le istituzioni dell’Unione europea, un po’ alla volta (occorre pur sempre mettere d’accordo 27 governi) hanno predisposto un quadro finanziario  che, tra l’intervento della Bce nell’acquisto dei tioli di Stato, il Mes sanitario, il fondo Bei, il Sure e da ultimo il Recovery fund (che nel frattempo ha cambiato di nuovo nome con un significativo riferimento alle nuove generazioni) arriva a 2,4mila miliardi nell’ambito di un bilancio pluriennale (2020-2027).

Queste misure si aggiungono a un radicale allentamento delle regole per quanto riguarda l’indebitamento e il debito (quello italiano è destinato a crescere di almeno 20 punti di Pil), gli aiuti di Stato e la possibilità di impiegare le risorse dei fondi strutturali senza dover aggiungere la quota di cofinanziamento. Per quanto riguarda l’ultima proposta della Commissione al Consiglio si tratta di un ammontare di 750 miliardi, di cui 500  a fondo perduto (greants) alle regioni e ai settori più colpiti dall’impatto economico del coronavirus, e 250 come prestiti (loans).

La quota di fondi per l’Italia dovrebbe essere (arrotondiamo gli importi) di 172 miliardi di euro, di cui 82 miliardi versati come aiuti a fondo perduto e 91 miliardi come prestiti. Il nostro Paese sarà il maggior beneficiario, seguito dalla Spagna un totale di 140 miliardi, divisi tra 77 miliardi di aiuti e 63 miliardi di prestiti.

Il piano di Bruxelles mira a intervenire in tre ambiti: sostegno alla ripresa degli Stati, aiutare gli investimenti privati e prepararsi a nuove crisi (rafforzando i sistemi sanitari, i programmi per la ricerca ecc.). In altri termini investire per un’Europa green, digitale e resiliente. La proposta dovrà ottenere il via libera del Consiglio europeo e del Parlamento Ue. I partiti sovranisti, presi di sorpresa da un ammontare di risorse inatteso e corrispondente come quantità alle loro richieste (avanzate con la convinzione che fossero respinte in modo da poter attaccare l’Europa matrigna, schiava della Germania) sono corsi disperatamente al riparo attaccandosi ad argomenti privi di consistenza, ma che trovano orecchie attente in un’opinione pubblica che ha subito una sorta di lavaggio del cervello in chiave antieuropea.

La prima mossa è quella – piuttosto banale – sui prestiti che dovranno essere restituiti. Pertanto, meglio fare da soli e chiedere agli italiani di dare l’oro alla Patria. Il conflitto è iniziato dal Mes sanitario: 36-37 miliardi di prestiti da restituire in un decennio, condizionati, nell’utilizzo, a spese direttamente o indirettamente connesse al settore della sanità devastata dalla pandemia.

Li prendiamo o no? Anche all’interno della maggioranza vi sono posizioni contrarie nonostante che sia stato proprio “il fare con i nostri mezzi’’ a dimostrare la convenienza a ricorrere al  fondo Salva Stati. Il Tesoro ha piazzato in 4 giorni più di 22 miliardi di un Btp Italia: un ottimo risultato, se non fosse che il tasso di interesse è parecchio lusinghiero (1,46% oltre l’inflazione) in tempi in cui molti titoli di altri Stati hanno addirittura tassi negativi.

Se messo a confronto con il tasso dello 0,1% del Mes, il vantaggio emerge in tutta evidenza. Si arriva così a chiedere risorse a fondo perduto, trattenendo sotto l’ascella la solita volpe: “Ci diranno di no e noi potremo riconfermare le solite critiche’’. Invece lasciando tutti di stucco Macron e Merkel si sono accordati per uno stock di 500 miliardi gratis. Proseguendo nel loro gioco a rimpiattino i sovranisti hanno evocato lo spauracchio delle condizioni. “Chissà che cosa ci chiederanno in cambio? Vorranno che facciamo ciò che loro ci ordinano. No pasaran’’.

Così le riforme diventano una minaccia, come se noi non ne avessimo bisogno. La giustizia civile (e penale) da noi è un modello; il sistema fiscale funziona come un orologio; la sanità è uscita dalla tempesta illesa; della green economy non ci importa un fico (la guerra all’ex Ilva la si è fatta solo per scherzare); le pensioni non si toccano. Per dimostrare quanto siano sprovveduti gli anticondizionalisti prendiamo soltanto quest’ultimo tema così delicato.

Le deroghe introdotte dal governo giallo-verde scadono una (quota 100) alla fine del 2021, l’altra (il trattamento anticipato con i requisiti bloccati) al 31 dicembre del 2026. Se non si definisce un quadro normativo nuovo si tornerà automaticamente alle regole della riforma Fornero. Nulla di male per chi è sempre stato convinto della sua validità, ma nessuno può nascondersi il formarsi di tanti “scaloni’’ che non piaceranno ai futuri pensionandi. Poi, se una comunità compie uno sforzo finanziario importante avrà diritto di mettere il naso negli affari comuni, per superare, attraverso il confronto e il negoziato, le questioni vecchie e nuove del Continente?

A noi pare che la risposta affermativa non risponda solo all’esigenza di una risalita che nessun Paese può intraprendere da solo, ma anche ad un elementare buon senso. Per ricostruire un mercato che non si riduca al giardino di casa occorrerà individuare degli obiettivi di sviluppo verso i quali orientare gli investimenti.

Facciamo un solo esempio: la nostra struttura manifatturiera è in simbiosi con quella tedesca, sarà allora il caso di incamminarsi lungo i medesimi percorsi. Eppure, non stanno capiti, anche perché i sovranisti trovano sempre qualcuno che insegna loro a non dire soltanto degli slogan da bar. “Noi riceveremo 172 miliardi? Non è così’’, hanno pontificato: “togliendo i 56 miliardi che l’Italia versa alla Ue fanno 26 miliardi in tre anni’’.

Appare chiaro che il minuendo della sottrazione, in questo conteggio farlocco, è dato dagli 82 miliardi a fondo perduto (perché sono quelli che interessano ai furbetti del nostro quartierino). Ma stiamo pure a questo gioco disonesto. In quale sistema finanziario un investimento di 56 miliardi garantisce, in un triennio, un rendimento di 26 miliardi?

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