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L’ultimo in ordine cronologico a cercare gli americani per la Libia è stato il presidente francese, Emmanuel Macron, che ha telefonato a Donald Trump e – come ha prontamente fatto sapere l’Eliseo a margine della chiamata – ha denunciato il comportamento “inaccettabile” della Turchia, responsabile di “una politica sempre più aggressiva e assertiva, con sette navi turche posizionate al largo della Libia e una violazione dell’embargo sulle armi”. Non solo, perché nel commento francese esce anche la preoccupazione riguardo allo sfruttamento del contesto Nato da parte di Ankara: “I turchi si comportano in modo inaccettabile strumentalizzando la Nato. Su questo argomento, aggiunge Parigi, “nelle prossime settimane si terranno discussioni con i partner della Nato impegnati sul posto”.

Turchi e francesi sono ai ferri corti, i due lati estremi del Mediterraneo si scontrano in dinamiche che riguardano il bacino (su tutte le riserve energetiche del quadrante orientale) e le sfere di influenza collegate, fino al turismo. Tutto sfoga in Libia, dossier-test per le ambizioni geopolitiche dei Paesi della regione, dove Parigi ha sempre – sebbene in forma non troppo ufficiale – sostenuto le ambizioni del signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar, mentre Ankara che ha permesso al governo onusiano Gna di sconfiggerlo militarmente.

La guerra in Libia si sta avviando verso una fase di congelamento. Il Gna ha riconquistato quasi tutta la parte del territorio che intendeva riprendere dopo l’occupazione haftariana, la Tripolitania, e gli attori esterni che sostengono la Cirenaica (più che il suo signore della guerra) arroccati nella loro porzione di controllo. Da questo stop alle armi – ancora non attuativo, si combatte infatti per Sirte – seguirà un processo di carattere diplomatico.

Fase in cui tutti i player esterni intendono prendere posizione. E per questo tutti hanno cercato gli Usa, sponsor il cui peso politico è massimo (sebbene gli americani non sembrano interessati a esporsi troppo), e per questo tutti vogliono far valere le proprie posizioni prima che i negoziati riprendano. E anche sulla via che questi colloqui debbano prendere non c’è ancora niente di definitivo. La Francia, per esempio, ha già avallato e sposato un piano egiziano per la stabilizzazione, seguendo l’allineamento dei partner esterni della Cirenaica – Emirati Arabi, Russia, Giordania ed Egitto appunto.

Domenica, per parlare di questo piano, dovevano incontrarsi i due protagonisti di maggior rilievo, Russia e Turchia, ma il vertice ministeriale di Istanbul è saltato all’ultimo momento. Sia Mosca che Ankara garantiscono che il dialogo resta costante, e l’incontro è soltanto rimandato di qualche giorno. Ma si sa che non c’è intesa tra i due vincitori extra-territoriali della guerra libica.

I russi vorrebbero il piano egiziano, perché è quello che dà maggiori garanzie sulla loro permanenza a Est – dove vogliono un avamposto militare, su cui hanno già messo i piedi inviando un dispiegamento di caccia. I turchi vorrebbero far valere le proprie leve: hanno respinto Haftar dalla Tripolitania, vogliono usare questa posizione di forza acquisita combattendo, mirano come fanno i russi in Cirenaica a creare un punto di appoggio militare – forse sarà la base di Al Watiya, la più grande installazione militare del Nordafrica, ma possibile che ce ne sia un altro a Misurata, ossia uno a ovest e uno a est di Tripoli.

Soprattutto, la Turchia cerca di costruire uno spazio diplomatico per un piano politico che il Gna sta per presentare. Come anticipato su queste colonne dall’esperto Daniele Ruvinetti, che ha ottimi agganci all’interno del governo tripolino, il Gna ha in progetto di portare i libici al voto, poi una volta rinnovato il Parlamento scrivere la costituzione, e a quel punto procedere con l’elezione presidenziale. Tutto sotto il solco del piano Lpa, la road map politica di Skhirat firmata dall’Onu nel 2015.

Sarebbe una doppia forza per Tripoli. Da un alto oblitererebbe il percorso lanciato dall’Egitto (che è più spostato verso la Cirenaica) e dall’altro si porrebbe nel solco tracciato delle Nazioni Unite. Diversi Paesi, tra cui Italia, Germania e gli stessi Stati Uniti, hanno accolto con favore l’idea del Cairo, ma hanno chiesto che tutto resti nell’ambito Onu. Aspetto problematico per gli egiziani, visto che sia Tripoli che Ankara respingono la loro iniziativa, e visto soprattutto che l’Onu ne ha già una che – sebbene stanca – potrebbe avere un ringiovanimento legato ai fatti del campo di battaglia.

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