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Missione di soccorso. Da Mosca arriva un braccio teso a Pechino, contro Washington DC. “Non è questo il giusto tempo, nel mezzo di una grave crisi e senza precedenti, per gettare qualsiasi accusa contro l’Oms un giorno, la Cina il giorno dopo”. A parlare è Dmitry Peskov, potente portavoce del presidente russo Vladimir Putin.

Domenica il segretario di Stato Usa Mike Pompeo ha parlato di “prove significative” che dimostrerebbero come il Covid-19 sia originato da un laboratorio a Wuhan.

Dal Cremlino arriva un pollice verso. In un’intervista alla Cnbc, Peskov ha definito le parole di Pompeo “molto, molto serie” e ha invitato la Casa Bianca a “fornire prove”. In caso contrario, ha aggiunto, “crediamo sia sbagliato attaccare un Paese terzo con, per dirla con un eufemismo, un tono non diplomatico”.

Peskov ha poi chiarito che il Cremlino “non ha buone ragioni per essere ottimista sulle relazioni bilaterali” con gli Usa, mentre “al contrario, il nostro rapporto con la Cina è ottimo, lo valutiamo e siamo determinati a mantenerlo”.

Non è la prima volta che Mosca fa scudo a Pechino contro le accuse del coronavirus. È successo, in via indiretta, quando Trump ha deciso di tagliare i fondi all’Oms, accusato di essere troppo vicino alle direttive della Città Proibita. Lo stesso Peskov dall’ufficio presidenziale ha definito immotivate le accuse e sostenuto che l’organizzazione dell’Onu in verità stia “facendo molto per contenere la pandemia”.

In patria, i media russi che danno credito alla tesi della responsabilità umana del virus sono tacciati di complottismo e rischiano di incorrere in severe sanzioni. Questo mercoledì, l’ufficio del Procuratore generale ha diramato un comunicato in cui definisce “fake news” le teorie sull’origine artificiale del virus. Da YouTube e dal social network Odnoklassniki vengono rimossi i video che rilanciano simili argomentazioni. Una legge passata alla Duma il mese scorso punisce con una pena fino a 5 anni di reclusione chi diffonde “informazioni false” sul virus.

Fra Russia e Cina non sono mancate tensioni diplomatiche da quando è scoppiata la pandemia. L’ultima in ordine di tempo, la chiusura da parte di Pechino del confine di 4300 chilometri con la Russia, lasciando nella regine di Primorsky Krai migliaia di cinesi potenzialmente infetti, ora affidati al governo russo, che paga un prezzo molto salato della crisi sanitaria, con più di 165.000 casi.

Fatta eccezione per qualche singolo episodio però la parternship strategica sino-russa cui fa riferimento Peskov ha retto la crisi. Che i rapporti siano consolidati è dimostrato dai numeri: lo scorso settembre, dopo che Xi Jinping ha definito Putin “il suo migliore amico”, il governo cinese ha fatto sapere di voler aumentare l’interscambio con Mosca a 200 miliardi di dollari entro il 2024. I due Paesi sono legati da un accordo trentennale nel settore dell’energia, un patto da 400 miliardi di dollari fra Gazprom e la China National Petroleum Corporation (Cnpc).

Diversi analisti internazionali hanno ravvisato nelle ultime settimane un riavvicinamento, o almeno un allentamento delle tensioni fra Russia e Usa. I segnali in questa direzione sono innegabili. Basti pensare alla quasi totale scomparsa del tema delle interferenze russe alle elezioni non sono nelle dichiarazioni dell’amministrazione americana ma anche del team di Joe Biden, entrambi concentrati sulla sfida cinese.

Ma credere che la ripartenza del dialogo fra Mosca e Washington si porti con sé naturalmente un distacco dell’élite russa da Pechino potrebbe essere un errore. La saldatura dei legami con l’ex Celeste impero ha radici profonde, e ha subito un’accelerazione a partire dal 2014, quando l’annessione russa della Crimea e la guerra in Ucraina hanno tracciato un solco profondo fra mondo occidentale e Russia, proprio mentre il governo russo cercava una sponda (anche a livello di immagine: è il caso delle Olimpiadi di Sochi).

Come ha notato Alexander Gabuev di Carnegie su Foreign Policy, non si possono leggere i rapporti fra Mosca e Pechino in bianco e nero. “La pandemia sta accendendo i riflettori sulla strisciante sfiducia sia al livello dell’opinione pubblica sia a quello dell’amministrazione fra Mosca e Pechino, che da molto tempo convive con il cameratismo da Tv fra Putin e Xi”.

È vero però che la ripresa russa, soprattutto nel mondo energetico dopo i tagli alla produzione dovuti all’Opec plus, passerà inevitabilmente per la Cina, e questo alle élite moscovite è ben chiaro. “Pechino cercherà di imporsi in Eurasia come il primo driver di crescita economica e fornitore di tecnologie critiche, così come facilitatore di nuove forme di controllo politico per regimi che stanno diventando molto più traballanti”.

Covid-19, il pronto-soccorso Putin a Xi. Così Mosca difende Pechino

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