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Distorsioni ottiche. Da una parte dell’Atlantico, a Washington DC, l’Italia dà tutta l’impressione di essere diventata terreno di scontro di una irruenta competizione geopolitica di Russia e Cina, intente ad allentare i fili che legano lo Stivale al suo storico alleato con il pretesto degli aiuti per il coronavirus. Dall’altra parte, a Roma, tutto procede come nulla fosse.

Questa almeno è l’immagine che traspare leggendo le dichiarazioni rilasciate dal premier Giuseppe Conte a La Stampa. Su quello stesso quotidiano, il giorno precedente, il segretario alla Difesa Usa Mark Esper ha lanciato un allarme-Italia. Qui in particolare, ha detto l’esponente di punta dell’amministrazione Trump, è fondamentale che “la crisi sanitaria non diventi una crisi di sicurezza”. Le mire cinesi sulla rete 5G, la campagna propagandistica sugli aiuti per il Covid-19 da Pechino e Mosca, destano preoccupazioni sulla collocazione del Paese.

Non a Palazzo Chigi. “Abbiamo gestito tali aiuti in totale trasparenza sia verso la nostra opinione pubblica, sia verso i nostri alleati”, risponde serafico Conte. Senza accorgersi, forse, di aver dato una (mezza) notizia: gli alleati dunque sapevano in anticipo della colonna di blindati russi che ha attraversato l’Italia da Pratica di Mare a Bergamo, e del via vai di aerei cargo dalla Cina.

Restano da chiarire alcuni punti non secondari. Sono stati preavvisati? C’è stato un confronto preventivo con Washington DC, e con gli altri alleati Nato, o sono stati messi di fronte a un fatto compiuto, quando ormai era tardi per tornare indietro? Domande che, per ora, rimangono senza risposta.

Il presidente del Consiglio ci tiene a ricordare il memorandum della Casa Bianca per l’invio di aiuti da 100 milioni di dollari in Italia. Il messaggio è chiaro: chiunque aiuti è bene accetto, e Roma non fa distinzioni. Peccato che non sia andata esattamente così. Se gli aiuti Usa sono passati quasi sotto traccia, alla stregua di una semplice procedura amministrativa, quelli cinesi e russi hanno ricevuto un’eco senza paragoni.

Mediatica, certo, ma anche istituzionale, se è vero, come dimostrato su Formiche.net, che la Rai (servizio pubblico) ha dato agli aiuti cinesi il triplo della visibilità rispetto a quelli americani, e una sproporzione non dissimile è emersa nelle dichiarazioni pubbliche di molti esponenti della maggioranza.

Sul nodo più delicato, la sicurezza della rete 5G, Conte non proferisce parola. È un nodo intricato, che, se non troverà una soluzione di qui a breve, rischia di essere tagliato. I termini della questione sono noti: aziende cinesi come Huawei e Zte sono accusate dall’intelligence Usa e di diversi altri Paesi occidentali di spionaggio e dipendenza dal Partito comunista cinese. Lo ha detto Esper senza mezzi termini: “La dipendenza dai fornitori cinesi di 5G potrebbe rendere i sistemi cruciali dei nostri partner vulnerabili a interruzione, manipolazione e spionaggio”.

Dalle comunicazioni classificate con gli alleati Nato ai dati sensibili delle imprese, in ballo c’è la sicurezza nazionale. Il governo italiano non fa che ricordare la struttura messa in piedi dal “decreto cyber” e il perimetro di sicurezza nazionale cibernetica. Ma intanto la realizzazione dell’architettura di sicurezza è in ritardo di mesi. L’alibi dell’impianto normativo è necessario ma potrebbe non essere più sufficiente, è il messaggio che arriva diretto dallo Studio Ovale.

Il Copasir ha sollevato il tema con un rapporto pubblicato a dicembre, che, fra gli altri, ha ricevuto l’endorsement del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro. E al presidente del comitato, il deputato della Lega Raffaele Volpi, tocca ribadire il cuore della questione, in attesa di un cenno dal premier: “È il momento di scelte fondamentali e di stare attenti alle finte offerte”.

Il Pentagono chiama, ecco come Conte (non) risponde su Cina, Russia e 5G

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