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In questi ultimi anni mi è capitato spesso in coincidenza di interlocutori e platee diverse di dover rispondere alla stessa domanda: “Bruxelles conviene?”. Ad ogni singola occasione la mia risposta è stata identica ai limiti della monotonia: “Bruxelles per noi non solo conviene ma è addirittura vitale per la tutela dei nostri interessi”.

Diversi ne sono i motivi.

Primo: gli assi (alleanze più piccole) tra Paesi storicamente parlando non ci hanno mai portato bene.

Secondo: gli assi tra Paesi tendono spesso ad avvitarsi secondo logiche muscolari (logiche su cui spesso la casistica negoziale passata ci ha visti subire).

Terzo: la nostra posizione negoziale è per natura una posizione determinata dalla geografia: sovraesposti a Sud (si pensi alla nostra sofferenza mediterranea di questi ultimi anni) e asfissiati a Nord (si pensi al condizionamento che le montagne pongono alla nostra mobilità e alle nostre attività ad essa connesse). Il che significa che per non rimanere isolati dobbiamo fare leva su principi europei comuni che ci permettano di sormontare gli handicap fisici che la natura ci ha riservato, penso ad esempio al Principio europeo della libera circolazione di persone e di beni che c’impedisce di subire gli sbalzi umorali francesi o austriaci (vedi ad esempio la vicenda Ecopunti).

Quarto: affidarsi a principi e strumenti condivisi da certezza ai rapporti a prescindere di assi e dinamiche muscolari.

È di pochi giorni fa la notizia che la Germania abbia deciso di riaprire le proprie frontiere il 15 giugno prossimo verso determinati Paesi considerati più sicuri in quanto a gestione della pandemia, decisione sostanziale incontrovertibile se commisurata all’esigenza di tutelare i propri cittadini.

Decisione, tuttavia, non esente dal provocare effetti collaterali non propriamente in linea con lo stare insieme in Europa.

Uno di questi effetti riguarda il generare corridoio Covid free per i propri abitanti verso determinati Paesi, orientamento che a maggio inoltrato rischia di creare una forte distorsione della concorrenza in un settore vitale come il turismo.

Va, infatti, ricordato che generalmente (probabilmente non quest’anno) un’ estate in Europa è una torta che vale per le categorie produttive del continente 150 miliardi di euro.

Immaginate pertanto cosa possano significare anche solo mere dichiarazioni da parte di Berlino relativamente all’orientamento di puntare su alcuni Paesi e di escluderne altri come ad esempio l’Italia e la Spagna relativamente all’opportunità per i cittadini tedeschi di passare le vacanze all’estero…

Ricordiamo inoltre che l’Italia, insieme alla Spagna, risulta uno dei principali beneficiari della torta turistica europea, che il turismo rappresenta per il Belpaese il 13% del Pil e che generalmente ogni anno 14 milioni di tedeschi vengono in Italia…

Che fare allora?

Limitare i danni spuntando per quanto possible il Diktat di Berlino mediante l’utilizzo dei principi e degli strumenti che la nostra appartenenza all’Unione ci consente.

Iniziamo pertanto a spellare la cipolla tedesca strato per strato…

Partiamo, innanzitutto declinando la questione con il Principio europeo di non discriminazione (art 13 TUE) e riprendendo le recenti parole della commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson, in cui viene spiegato che quando un Paese decide di revocare le restrizioni alle sue frontiere, apre le porte a tutti i cittadini residenti negli Stati Ue che si trovano nell’analoga situazione epidemiologica, senza discriminare sulla base della loro cittadinanza e del loro passaporto.

Orientamento, che trova poi ulteriore precisazione nelle linee guida sul turismo pubblicate il 13 maggio scorso dalla Commissione europea in cui si sostiene che il viaggio andrebbe consentito non unicamente verso Stati con condizioni epidemiologiche simili ma anche verso regioni europee che condividono le stesse condizioni epidemiologiche.

Il che significa secondo Bruxelles che se ad esempio Sicilia e Sardegna o Maiorca o Minorca dovessero secondo i parametri previsti dal Centro europeo per la prevenzione del controllo delle malattie (Ecdc) trovarsi in situazioni epidemiologiche simili di alcuni länder tedeschi non vi sarebbe alcuna ragione per non pianificarvi una vacanza.

Allo stesso modo se Trentino e Tirolo austriaco dovessero vantare situazioni epidemiologiche simili non vi è nessuna ragione per cui il confine tra Italia ed Austria rimanga chiuso.

In tal senso nel negoziato europeo al fine di sgrezzare la posizione tedesca occorrerà attivare la diplomazia tra territori europei mediante il Comitato delle Regioni (Cdr) e mediante reti europee influenti come la Conferenza delle Regioni Periferiche e Marittime (Crpm). In ragione della disomogeneità del fenomeno è proprio nella diplomazia dei territori che può risiedere la miglior risposta modulare alla pandemia e ai suoi effetti collaterali almeno nel medio  periodo.

Certo un imprenditore turistico pugliese, ligure o marchigiano potrebbe obiettare parafrasando Keynes che nel medio periodo (inteso qui come domani) la sua attività sarà morta.

In tal proposito, anche qui Bruxelles sembra poter prospettare speranze di sopravvivenza, innanzitutto, garantendo liquidità sia attraverso la facilitazione del quadro delle norme in materia di aiuti di stato (regimi di garanzia per i buoni o altri regimi di liquidità per sostenere le imprese dei trasporti e dei viaggi e per garantire che siano soddisfatte le richieste di rimborso per Covid) sia attraverso finanziamenti (ad esempio gli 8 miliardi di euro previsti dal Fei per 100.000 piccole imprese colpite dalla crisi).

Non secondario poi nemmeno il contributo finanziario del programma Sure (fino  a 100 miliardi di euro)  per la salvaguardia dei posti di lavoro. Tutto ciò, val la pena ricordarlo, per una materia, il turismo, che non è di competenza europea bensì degli Stati nazionali!

Alla fine della fiera, Bruxelles conviene? A me pare di sì ma fate voi…

 

Turismo Covid-free, ecco perché l'Europa conviene. L'analisi di Zagari

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