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Il Libano è un Paese fallito, abbandonato dai partner della regione, con una popolazione arrabbiata e risentita verso la politica. Si trova oggi a dover affrontare, oltre a tutto questo e alla crisi sanitaria causata dal coronavirus, il disastro avvenuto martedì al porto di Beirut.

Nei giorni precedenti era tornata a salire la tensione tra Hezbollah e Israele, che oggi si accusano a vicenda. Secondo il gruppo sciita all’origine delle due esplosioni ci sarebbe un sabotaggio da parte dello Stato ebraico. La cui intelligence, invece, sta cercando conferme ai suoi sospetti che il deposito saltato in aria ospitasse, oltre alle quasi tre tonnellate di nitrato di ammonio, anche armi di Hezbollah (che gestisce il porto).

Le milizie sostenute dall’Iran però ha scelto il profilo basso. “La gente è tornata a gridare ‘Killon yani killon’, come durante la ‘rivoluzione’ di ottobre, ‘tutti significa tutti’, cioè via tutti”, raccontava oggi La Stampa. “Chiunque si fosse presentato, lo sciita Hassan Nasrallah come il cristiano Michael Aoun, avrebbe ricevuto lo stesso trattamento” riservato all’ex premier Saad Hariri, che ieri aveva tentato di capitalizzare la rabbia popolare verso l’attuale governo con una passerella per le strade di Beirut.

“La distruzione di mezza città ha rotto le ultime reti di sicurezza e di sopportazione”, continua Giordano Stabile, inviato del quotidiano torinese a Beirut. “La classe dirigente si è divorata il Libano, da dieci mesi cerca di far pagare il conto ai piccoli risparmiatori, a commercianti, professionisti, al mondo del lavoro precario”. Il malcontento è rivolto verso anche verso il nuovo primo ministro, il “professore” Hassan Diab, “rimasto impastoiato nel sistema dei partiti settari”, nota Stabile. Ma anche contro Hezbollah: Nasrallah ha rinviato il suo atteso discorso, “fiuta il pericolo”, “l’aura di invincibilità si sgretola”, il partito si mette “a disposizione” del Paese.

Ma Israele (Paese con cui il Libano non ha rapporti diplomatici; i due si classificano vicendevolmente come nemici) ha offerto aiuti. Ho chiesto ai dirigenti libanesi di “mettere da parte la politica” e accettarli. “È un gesto importante, che finirà per mettere in difficoltà Hezbollah”, nota La Stampa. Come reagirà il partito di Dio sciita a queste difficoltà è la domanda.

“È possibile che la crescente tensione tra Hezbollah e Israele nelle due settimane precedenti possa diminuire ed essere rinviata a una data successiva, data la necessità di Hezbollah di occuparsi degli sviluppi interni in Libano”, si legge in un rapporto dell’Institute for National Security Studies, centro studi con sede a Tel Aviv e ritenuto tra i più autorevoli in Medio Oriente. A firmare il documento intitolato Israel, Hezbollah, and the deterrence equation following the Beirut disaster sono due ex ufficiali dell’Idf, Orna Mizrahi e Yoram Schweitzer. La prima è vice consigliere per la sicurezza nazionale del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu; il secondo, una lunga carriera nell’intelligence israeliana, è stato membro della task force Mia (Missing in action) insediata presso l’ufficio del premier.

Secondo gli esperti Hezbollah è a un bivio. Può scegliere di mantenere la tensione sul confine israelo-libanese per un lungo periodo cercando di rafforzare all’interno del Paese la sua posizione di “difensore del Libano” e leader della “resistenza”. Oppure può replicare operazioni come quella di fine luglio.

Duplice anche la scelta per Israele: da una parte c’è l’interesse strategico nel continuare la sua attività nel teatro siriano per ridurre la presenza militare dell’Iran e i suoi proxy (tra cui Hezbollah); dall’altra lo Stato ebraico non ha alcun interesse ad allungare la striscia di violenza attuale e a mantenere le sue forze al confine libanese, specialmente in questa fase in cui è impensabile un conflitto su larga scala lungo il confine settentrionale che potrebbe vedere coinvolti in una guerra fronte siriano e fronte libanese nello stesso tempo.

Ma gli esperti dell’Inss vedono proprio in Siria il punto di rottura di questo equilibrio precario: “Sembra che anche se l’attuale ciclo di violenza sembra essere terminato, gli sforzi in atto delle due parti per modellare l’equazione di deterrenza non siano finiti, e non finiranno presto”, scrivono. “Hezbollah e i suoi partner dell’asse sciita sono determinati a continuare a radicarsi in Siria e spedire armi di precisione in Libano, e Israele è ugualmente determinato a impedirlo”.

Le esplosioni non fermeranno Hezbollah. Il timore di Israele

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