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Kim Jong-un è sempre più morto. Da molto non appare in pubblico — sono ormai 25 i giorni consecutivi, una rarità. Il giornale del Partito, il Rodong Sinmun, non mostra le foto che solitamente lo ritraggono impegnato a dispensare saggezza nell’ambito delle più svariate attività (dai contesti tattici militari alla pesca, il leader è il centro dello stato e la propaganda così lo dipinge).

Tutto fermo al 12 aprile — il giorno dopo dell’ultima apparizione. Non era presente all’88esimo anniversario dell’esercito, evento glorioso per il regime, per il partito e per la leadership. Il 15 aprile non ha presenziato — per la prima volta da quando è al potere — alle celebrazioni annuali al Palazzo del Sole di Kumsusan, il mausoleo dedicato al nonno Kim Il-sung. Da sabato 25 aprile, il treno speciale su cui è solito viaggiare (eredità proprio del nonno, il Grande Leader) è stato ripreso dalle immagini satellitari a Wosan, dove secondo informazioni — arrivate ai giornali sudcoreani e australiani tramite qualche spifferata dall’intelligence — era stato visto la scorsa settimana. Lì sarebbe stato impegnato nella supervisione della riviera turistica — un progetto che avrebbe fornito nuovi introiti per il futuro spostando investimenti sul settore turistico, una sorta di differenziazione dalla figura del cattivo dinamitardo, quasi un’accettazione dei consigli con cui Donald Trump lo invitava a togliere il dito dal bottone nucleare e a pensare alla prosperità del suo popolo (piano su cui l’America avrebbe pure inviato aiuti).

La ricostruzione più credibile incrociando i rumors attorno al mistero di Kim dice che è stato colpito da un attacco cardiaco. Operato d’urgenza nella clinica di famiglia per una situazione gravissima. In fin di vita, in coma, forse addirittura morto — secondo la Reuters sarebbe stato inutile anche l’intervento estremo di un’équipe medica da Pechino (di cui il Nord è un satellite con un’orbita non sempre gradita dall’impero). La geografia sulle condizione del satrapo dice che secondo Casa Bianca, Zhongnanhai e Palazzo Blu, Kim sta bene, operato e in convalescenza. Sul periodico giapponese Shukan Genda si citano invece fonti interne che parlano di uno stato vegetativo, non più ripresosi da un danno vascolare tamponato con l’applicazione di uno stent. Le intelligence americane hanno indicato (chiaramente in forma anonima) la situazione critica alla Cnn, e il presidente Trump se l’è presa con la rete che diffonde fake news. Da sabato sera (ora italiana) alle voci di chi dice che sia morto si unisce quella autorevole della giornalista cinese, Qing Feng, vicedirettrice dell’emittente satellitare hongkonghese Hkstv. Qing è la nipote dell’ex ministro degli Esteri cinese Li Zhaoxing, per quattro anni capo della diplomazia del Deagone sotto la presidenza di Hu Jintao: ha buone entrature, per questo in tutto il mondo si sta parlando del post su Weibo in cui ha citato fonti cinesi “molto solide” secondo cui il regime sta prendendo tempo.

I gerarchi del Nord starebbero traccheggiando — come successo già in passato — prima di comunicare ufficialmente la notizia della morte del leader? A differenza del passato, stavolta lo stand by sarebbe più lungo perché la successione è meno chiara. La dittatura ereditaria indicherebbe la sorella Kim Yo-jong, che avrebbe tutte le credenziali di sangue per ascendere al potere, ma contro di lei potrebbe esserci la tradizione e faglie interne al regime. Difficile (mai visto finora) che una giovane donna diventi la guida di un regime comunista, sebbene sia lei l’unica tra i membri della famiglia che da sette decadi guida il paese a far parte dei circoli più profondi del potere (scelta per esempio due anni fa per rappresentare la stirpe regnante nel primo, storico approccio col Sud in occasione delle Olimpiadi Invernali di Pyeongchang; e accompagnatrice di Kim sia negli incontri con Trump sia in quelli col cinese Xi Jinping). Kim dovrebbe avere tre figli, il primo — secondo le informazioni diffuse tempo fa dal quotidiano sudcoreano Donga Ilbo — sarebbe nato nel 2010; dal regime più oscuro del mondo, altre informazioni arrivano addirittura tramite l’ex stella dell’Nba Dennis Rodman, che nel 2013 confermò che il suo amico Kim aveva anche una bambina. Tertium zero dati, tutti comunque molto piccoli per prendere le redini del Paese.

Un’ipotesi non facile, ma se dovesse aprirsi una guerra interna per il potere, è probabile che a spuntarla possa essere una coalizione di generali e gerarchi (forse guidati da Choe Ryong-hae, membro più giovane del Comitato permanente del Politburo, intimo conoscitore dell’élite del Paese, stretto collaboratore di Kim, già incaricato alla gestione di molti capitoli dello stato). La crisi nella leadership potrebbe creare problemi di stabilita proiettati anche all’esterno. Potrebbero aumentare le tensioni — e forse a questo si legano i movimenti militari registrato dall’intelligence di Seul in questi giorni. Potrebbe essere messo in discussione il sistema di contatto costruito in questi ultimi due anni con gli Stati Uniti. Sistema che Trump — mai protocollato — ha strutturato soprattutto attorno alla creazione di una rapporto personale con Kim che non piaceva troppo ai gerarchi tradizionalisti.

Venticinque giorni senza Kim: che fine ha fatto il satrapo nordcoreano?

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