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Huawei ha un problema inglese. Il clima lungo il Tamigi non è dei migliori per il colosso della telefonia mobile cinese. A gennaio il governo di Boris Johnson ha approvato una legge che permette a Huawei di partecipare fino al 35% della parte non-core della rete 5G (antenne radio, cavi), precludendole invece la parte core. Uno strappo che ha lasciato segni nei rapporti con gli Stati Uniti di Donald Trump, da mesi impegnati a chiedere di escludere le aziende cinesi accusate di spionaggio dalla banda ultra-larga. Nelle ultime settimane, però, qualcosa si sta muovendo a Londra. Se non è un passo indietro, è la sua anticamera.

Forse per questo il numero uno di Huawei Uk, Victor Zhang, ha firmato una lettera aperta alle istituzioni britanniche. “Abbiamo costruito la nostra fiducia nel business inglese per vent’anni aiutando i nostri clienti, gli operatori telefonici, a fornire chiamate e dati accessibili e affidabili”. E tuttavia, accusa Zhang, “c’è stato un pretestuoso criticismo da parte di alcuni sul coinvolgimento di Huawei nell’installazione della rete 5G inglese. E c’è chi sceglie di continuare ad attaccarci senza presentare alcuna prova”. Per il dirigente, ora che il coronavirus ha aumentato l’uso domestico di dati di “almeno il 50%”, “minare la nostra partecipazione all’installazione del 5G farebbe un disservizio all’Inghilterra”.

Non ci è voluto molto perché la missiva rattizzasse i carboni ardenti della polemica su Huawei che negli ultimi mesi, specialmente fra i Tories, ha occupato una fetta non secondaria del dibattito politico. A metà marzo una rivolta interna al partito di Johnson, supportata da un gruppo bipartisan di congressisti e senatori americani e guidata da sir Ian Duncan Smith, già ministro del Lavoro, ha provato a mettere in minoranza il premier facendo passare una legge per escludare Huawei dalla rete. Il blitz ai Commons non è andato a buon fine, ma ha acceso una spia d’allarme nel governo.

E oggi proprio Duncan Smith insorge contro la lettera “prepotente e arrogante” dell’azienda cinese. “Provare a usare questa terribile pandemia di coronavirus che ha le sue radici in Cina e nella sua soppressione dell’informazione, come un’opportunità per promuovere gli interessi di Huawei nel Regno Unito è vergognoso” ha cinguettato il Tory.

“Il problema cui farà fronte il mondo libero, incluso il Regno Unito, una volta che questa dolorosa pandemia sarà finita, è come ribilanciare e sradicare la nostra evidente dipendenza dalla Cina – ha proseguito – perché funzioni bene, il mercato libero globale richiede che tutti rispettino le sue regole internazionali, a cominciare dallo stato di diritto e il rispetto dei diritti umani. Nessuna di queste è rispettata dalla Cina, e perciò dovremmo ignorare la preghiera speciale e fuori luogo di Huawei”. Gli ha fatto eco il collega Bob Seely, il regista della rivolta dei Tories a Westminster, che ha definito la lettera “volgare e di cattivo gusto”.

L’appello del colosso di Shenzen a Downing Street facendo leva sulla pandemia non è stato un gesto isolato. Proprio questo martedì l’azienda cinese ha ufficializzato la nomina a direttore non esecutivo del board inglese di Mike Rake, ex numero uno di British Telecom (Bt) e della Cbi (Confederation of british industry, la Confindustria inglese), da mesi consulente di Huawei impegnato a fare lobby sul governo per evitare restrizioni. È un pezzo da novanta, con una rete di rapporti fra istituzioni e mondo imprenditoriale che  può aiutare a difendere la posizione di mercato di Huawei.

Tanto la lettera quanto la nomina sono spia di una crescente preoccupazione di Huawei per un imminente dietrofront del governo Johnson. I segnali, in effetti, non mancano. Dall’esecutivo Dominic Raab, ministro degli Esteri con funzioni di sostituto premier finché Johnson non si riprenderà dalla convalescenza per il Covid-19, ha assicurato all’omologo cinese Wang Yi che la crisi non sarà “politicizzata”. Ma è dall’intelligence che arrivano cenni di un cambio di passo verso Pechino.

Il primo: la recente nomina a capo dell’MI5, l’agenzia dei Servizi per l’interno, di Ken McCallum. Spia di lungo corso, con un ampio trascorso nell’anti-terrorismo, è considerato un hardliner nei confronti della Cina. Il secondo: dall’MI6, la celebre agenzia dei Servizi per l’Estero, arrivano segnali di insofferenza verso l’ex Celeste Impero.

Lo scrive il Guardian, per cui gli 007 inglesi avrebbero avvertito Downing Street della “grave” manipolazione dei dati sui cittadini cinesi morti a gennaio e febbraio. Sulla carta, nessuna delle agenzie mette in discussione la scelta di Johnson su Huawei nella rete 5G. Ma “la nuova enfasi sulla Cina potrebbe rendere quella decisione sempre più difficile da difendere man mano che i ribelli conservatori spingono per un ripensamento”.

In UK è duello a (breve) distanza fra 007 e Huawei. Johnson alle strette su 5G

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