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Sarà la quarantena che distende il crampo degli scrittori, la crisi della quale si prova a prender le misure, o la mediaticità della Golden Power che ci ricorda del concetto di interesse nazionale, ma è un periodo in cui l’Intelligence Economica sta tornando particolarmente di moda.

Forse la volta buona che in Italia riusciremo a darle un senso compiuto? Ce lo auguriamo.

Tra i tanti articoli iniziati a leggere con interesse su Formiche.net anche quello del dott. Giancarlo Elia Valori “La nascita della guerra economica moderna e il pensiero di Esambert” (si può leggere qui). Citazioni letterarie e storiche, e condivisibili nei contenuti alcune affermazioni. Terminata la lettura, abbiamo però ritenuto doveroso pensare a qualche precisazione, in quanto parte in causa, crediamo di rilievo sul tema, evidentemente non da tutti conosciuta, ma comunque inclusa nel superlativo “disastratissima” utilizzato nel suddetto articolo per l’Accademia italiana.

In ambiente accademico scientifico c’è una cosa che si chiama “analisi della letteratura”, metodologia non infallibile ma utile, per rendersi conto se il tema su cui ci si accinge a scrivere, ovvero la teoria che si accinge a pubblicare, sia stata già ripresa da altri ricercatori e studiosi. Questo per evitare teorie o pensieri autoreferenziali, e per costruire ricerca scientifica in ottica di miglioramento continuo, partendo anche da studi che sono già stati fatti da altri. Diciamo questo perché da quello che si legge nell’articolo, si potrebbe pensare che nulla sia stato fatto, o addirittura non esistano persone e organizzazioni che in Italia contribuiscono.

Il primo master Universitario in “Intelligence Economica” (i master nel senso lato del termine sarebbero quelli banditi dalle Università secondo regolamenti ministeriali), è quello di II livello bandito dall’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” che nella “disastratissima accademia” ha già maturato 6 edizioni. Dopo essere stato per anni unico master in Italia sul tema, se n’è recentemente aggiunto uno, bandito dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, pur con l’immancabile collegamento alla cyber security. Se ci addentrassimo fuori dalla formazione “universitaria” si trova poi un po’ di tutto, tra cui quello nell’articolo individuato come unico in Italia.

Il master di “Tor Vergata” ha origini a partire dal 2010, su impulso dell’allora direttore del DIS Gianni De Gennaro, quando ne curammo la progettazione per il nostro ateneo, con il supporto di alcune menti illuminate, certamente tra i principali conoscitori e cultori di Intelligence in Italia, Adriano Soi allora responsabile della comunicazione Istituzionale del Dis, e Bruno Valensise, allora direttore della Scuola di formazione sempre del Dis.

Alla luce infatti della riforma introdotta dalla Legge 124 del 2007, si sdoganava in Italia la poco nota “Intelligence Economica”, dopo primi tentativi ad opera della buonanima di Francesco Cossiga, post guerra fredda, e gli studi e approfondimenti fino ad allora più noti pubblicati da Paolo Savona e Carlo Jean.

Dopo la prima edizione del master, tutta l’attività di ricerca e formazione sul tema per il nostro ateneo è stata condotta con l’attuale CeSIntES (Centro Studi in Intelligence Economica e Security Management) con i sottoscritti scribani coordinatore scientifico e direttore, e tanti docenti e professionisti, tra cui il fondatore della rivista che ci ospita, che hanno portato le proprie competenze e conoscenze per riuscire a costruire una “accademia” italiana dedicata, che non esisteva e ancora oggi non si può dire esista; se parliamo poi di Settori Scientifici Disciplinari, diversi la contemplano ma nessuno la contiene.

Per quanto ci riguarda, e riteniamo in tal senso di essere abbastanza certi, abbiamo proseguito un processo di promozione culturale dei concetti di Intelligence Economica in un Paese dove ancora oggi è in larga parte cosa sconosciuta, attraverso attività di formazione, ricerca e di divulgazione.

Abbiamo creato come CeSIntES un appuntamento periodico chiamato “Gli Stati Generali dell’Intelligence Economica”: un convegno accademico, nell’ambito del quale, ogni anno si sceglie un tema da sviluppare con Politici, Accademici, Manager aziendali, Professionisti o semplici appassionati. Lo abbiamo fatto senza convenzioni scritte, “roadshow”, o “strusciamenti” con capi di agenzie, perché ci credevamo, ci crediamo e andava fatto.

Ad esempio, il tema dell’intelligence economica e accademia lo abbiamo affrontato ospiti del XXVII Convegno SISP presso l’Università di Firenze andando proprio a evidenziare il gap tra Francia e Italia in termini di iniziative formative specifiche, a partire dall’ ”Ecole de Guerre Economique”, che è una scuola importante, ma una delle tante all’interno di un sistema, quello francese, abbastanza consolidato.

Mentre di Sistema di Intelligence Economica, e di Intelligence Economica come politica pubblica (che in Italia ancora non c’è), abbiamo parlato nella prima edizione de “Gli Stati Generali dell’Intelligence Economica” dove partendo dall’analisi dei sistemi e dei processi di intelligence economica dei principali paesi mondiali, si è costruita una architettura di Sistema che coinvolga si i Servizi di informazione Istituzionali, ma si estenda e si articoli necessariamente con Aziende, Università, istituzioni etc.

In ogni caso, il “roadshow” del Dis presso le Università, per quanto ci compete, aveva certamente un obbiettivo di rilancio dell’Immagine dei Servizi italiani, alla luce della riforma che li rendeva “meno segreti”; tuttavia la selezione di persone dalle Università, è stata fatta a prescindere da questo, proprio come avveniva e avviene in tanti Paesi del mondo, tra cui la Francia cara all’autore Valori, dove comunicazione e recruitment camminano su binari paralleli ma diversi. La comunicazione ha permesso di andare oltre, e selezionare competenze specifiche nei luoghi dove si costruisce e perfeziona la conoscenza, in particolare per l’Intelligence Economica e la Cyber security.

Non conosciamo le statistiche utilizzate nell’articolo riguardo la “defenestrazione” di giovani prima reclutati e poi abbandonati; quelle che abbiamo noi, per l’intelligence economica, sono di analisti attivi nell’analisi del sistema economico e del tessuto imprenditoriale italiano, dentro e fuori dai confini; gli stessi che però, si trovano spesso in difficoltà a relazionarsi con un sistema aziendale non preparato, e poco predisposto ad una collaborazione in ottica di “Interesse nazionale”.

I processi di cambiamento richiedono del tempo, e in un ambiente la cui formazione per decenni è stata tipicamente militare, occorre tempo per rinnovare, e più che mai per la governance dell’Intelligence Economica occorre innovazione organizzativa e formativa in primis.

Sempre per non passare per il Paese che non fa mai nulla, il concetto o la terminologia di “guerra economica” è poco utilizzata perché come da “Glossario” del Dis, nel concetto di “competitività si tende a racchiudere l’intelligence difensiva come quella offensiva.

Non significa quindi che i Servizi di informazione o noi studiosi abbiamo l’anello al naso, ma ci si muove e si evolve secondo studi, logica e linee politico strategiche. Si può migliorare? Si può essere più rapidi ed efficaci? Certamente si, ma è un problema di volontà e consapevolezza politica.

Chiudiamo dicendo, che come rilevato in tante altre occasioni quello dell’Intelligence Economica è un tema strategico e di massima rilevanza, ma che per poter prendere piede deve essere affrontato in modo sistemico e con iniziativa politica. Fare sistema in Italia è complicato per tante ragioni: difficilmente una piccola impresa investe tempo e risorse per una propria intelligence economica, troppa è la diffidenza per affidarsi o scambiare informazioni con una analista istituzionale. Cosa che invece succede ad esempio in Francia e in Cina seppur con “approcci” diversi.

Abbiamo auspicato e ancora auspichiamo che componenti di sistema quali associazioni di categoria, camere di commercio, Ice, per citarne alcuni, si strutturino per supportare le Pmi, individuando le regole e reciprocità di sistema, perché l’informazione condivisa sia un valore aggiunto e non un timore.

Ma se il sistema è incompiuto, e le piccole latitano, anche le grandi Aziende non brillano; frammentano la funzione, non gli danno un identità; senza identità non nascono processi di recruitment finalizzati a inserire figure professionali dedicate; in assenza di processi di recruitment dedicati la funzione non è riconosciuta dal mercato del lavoro; una professionalità non conosciuta non esprime una domanda di lavoro specifica, per cui gli studenti hanno poco interesse a formarsi e specializzarsi, se non vedono sbocco occupazionale nel breve periodo presso aziende o istituzioni.

La cultura deve essere un circolo virtuoso per creare innovazione, ma il circolo virtuoso si crea se aziende e istituzioni sono le prime a sviluppare al loro interno questa cultura e la incentivano. Ma si fa cultura si anche non “facendo di tutta un’erba un fascio” e acquisendo qualche informazione in più per poter esprimere liberamente un pensiero.

Se poi nelle aziende dove l’autore Giancarlo Elia Valori ha avuto responsabilità direzionali o organizzative, esisteva una funzione o area “intelligence economica” declinata, con persone appositamente formate, con anche un dialogo reciproco e produttivo con l’intelligence economica istituzionale, e con processi dedicati di recruitment… tanto di cappello. Un passo avanti a tutti.

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