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Quest’anno alcune elezioni primarie democratiche sono state rinviate anche a poche ore dalla data prevista. Per esempio, il governatore dell’Ohio Mike DeWine ha effettivamente chiesto alla Corte suprema del suo Stato di rinviare le elezioni primarie. Quando quest’ultima ha respinto la sua richiesta, DeWine ha semplicemente ordinato la chiusura dei seggi, aggirandone efficacemente la decisione. Non deve dunque sorprendere che il presidente Donald Trump si sia pubblicamente chiesto se nelle presenti circostanze si possano rinviare le elezioni generali in calendario per il prossimo 3 novembre. La risposta è che non solo il presidente Trump non può annullare oppure rinviare legalmente le elezioni ma che il rinvio stesso non dovrebbe essere nel suo interesse perché la Costituzione stabilisce tra l’altro anche i parametri specifici del mandato presidenziale, quali la sua durata, la data e l’ora precisa del suo termine.

In base alla Costituzione, il presidente resta in carica per un periodo di quattro anni e, ancora più precisamente, il ventesimo emendamento della Costituzione ne indica la scadenza del mandato al mezzogiorno del 20 gennaio. Ne consegue, che qualora non si dovessero svolgere le elezioni, dal pomeriggio del 20 gennaio del prossimo anno, la presidenza non potrebbe non passare a qualcun altro. Inoltre, l’ordinamento giuridico statunitense non prevede che si possa sospendere l’applicazione della Costituzione neppure in circostanze quali disastri naturali, guerre, guerre civili ed epidemie. Cosa questa di cui si rese conto anche il presidente Abraham Lincoln quando, nel bel mezzo della Guerra civile, si vide rigettare dalla Corte suprema la sospensione dell’Habeas corpus da lui disposta.

Ciò detto, non si deve poi dimenticare come larga parte dei poteri di emergenza non sono di pertinenza federale ma di stretta competenza statale, come del resto evidenziato proprio dall’epidemia. Inoltre, sono i singoli Stati con un po’ di supervisione del Congresso, e non la presidenza, a fissare gli orari, i luoghi e le modalità con le quali svolgere le elezioni. Le relative disposizioni di legge sono così dettagliate da non prestare il fianco a interpretazioni alternative. L’unica cosa che il presidente Trump può fare per riprogrammare le elezioni è indurre l’intero insieme dei governatori a impedire ai propri cittadini di recarsi alle urne, come appunto fatto da DeWine. Per quanto possibile, questo scenario è estremamente improbabile, non solo perché il presidente Trump dovrebbe convincere tra gli altri anche ben 24 governatori democratici, ma anche perché il risultato di una siffatta manovra sarebbe incredibilmente ironico.

Poste le vigenti disposizioni costituzionali che impediscono l’effettiva proroga del mandato presidenziale, gli statuti federali prevedono che nel caso in cui il presidente sia nell’incapacità di svolgere il suo mandato, sia morto, si sia dimesso, sia stato rimosso dall’incarico oppure il suo mandato sia ormai esaurito, i poteri e i doveri dell’ufficio del presidente degli Stati Uniti debbano passare al vicepresidente. Cosa questa impossibile nella fattispecie perché anche il mandato del vicepresidente scade a mezzogiorno del 20 gennaio. A questo punto la procedura dovrebbe aprire le porte della Casa Bianca al capo della maggioranza della Camera dei Rappresentanti, ma posto che tutti i membri del Congresso sono rieletti ogni due anni, se non ci sono le elezioni generali non ci sono nemmeno i membri della Camera dei Rappresentanti, perché anche il loro mandato scade con lo scadere di quello presidenziale. D’altra parte, lo stesso non si può dire per quanto riguarda i membri del Senato, perché questi sono eletti su base scaglionata ogni sei anni. Dal momento che due terzi dei senatori non sono soggetti a rielezione, e non sono a fine mandato per almeno altri due anni, in assenza di un presidente, di un vicepresidente e di un capo della maggioranza della Camera dei rappresentanti, l’ordine di successione prevede che la presidenza vada al presidente pro tempore del Senato, vale a dire il membro più anziano del partito di maggioranza, in questo momento un repubblicano. Tuttavia, è altamente improbabile che in una tale circostanza i governatori degli Stati i cui senatori si ritroveranno a fine mandato non decidano di colmare le lacune procedendo a un’intera serie di nomine interinali, come reso loro possibile dalla legge. Nel caso, posto che il loro numero sarebbe superiore al numero dei governatori repubblicani, l’eventuale rinvio delle elezioni voluto dal presidente Trump avrebbe l’effetto di consegnare tanto il Senato quanto la Casa Bianca ai democratici.

In realtà, più che tentare di porre le basi di un qualsiasi rinvio della prossima tornata elettorale, il presidente Trump ha dimostrato ancora una volta di saper egregiamente controllare e influenzare l’intero dibattito politico nazionale, costringendo tanto i suoi nemici quanto i suoi alleati a rispondere direttamente alle sue provocazioni e, così facendo, a restare sempre al centro dell’attenzione dei media e del pubblico senza mai ritrovarsi, per così dire, a dover giocare di rimessa.

Trump non può rinviare le elezioni ma ha fatto centro. Lucio Martino spiega perché

Di Lucio Martino

Quest’anno alcune elezioni primarie democratiche sono state rinviate anche a poche ore dalla data prevista. Per esempio, il governatore dell'Ohio Mike DeWine ha effettivamente chiesto alla Corte suprema del suo Stato di rinviare le elezioni primarie. Quando quest’ultima ha respinto la sua richiesta, DeWine ha semplicemente ordinato la chiusura dei seggi, aggirandone efficacemente la decisione. Non deve dunque sorprendere che…

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