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Secondo uno studio del gruppo di ricerca START dell’Università del Maryland, nel biennio 2018-2019 i Talebani hanno aumentato la loro efficacia in Afghanistan. Il gruppo ribelle jihadista ha aumentato soltanto del 2 per cento il numero degli attacchi, ma ha aumentato del 9 per cento in più di vittime. I dati dicono che nel mondo articolato delle formazioni terroristiche nessuno ha fatto meglio. Ora per dovere di completezza il triste primato va contestualizzato. Ossia: negli anni in cui l’amministrazione statunitense ha avviato per diretta indicazione una trattativa coi ribelli, questi si sono dimostrati sempre più sanguinari. E forse dal dato si evincono i perché di una spaccatura all’interno del governo Usa, dove il presidente pressa per l’uscita — promessa sempre pagante in termini di consensi elettorali, ottima per il rilancio presidenziale in vista del voto di novembre — mentre Pentagono, intelligence e dipartimento di Stato chiedono di rallentare.

L’accordo raggiunto a febbraio, mediato direttamente dagli Usa coi ribelli, scavalcando il governo afghano (vittima preferita degli attacchi) dovrebbe portare all’uscita dal Paese delle truppe americane nel 2021. I Talebani stressano il dossier perché la Casa Bianca s’è dimostrata ansiosa di chiudere questa “guerra infinita”,  come la chiama Trump, che dura da due decenni. Le condizioni non ci sarebbero, né in termini di capacità statuale a Kabul, né in quelli di volontà di de-conflicting da parte dei ribelli. Ma la politica realista estremizzata nell’attuale presidenza Usa è chiara: la situazione è da troppo stanca. Insostenibile per certi versi. La guerra non porta dividendi (sebbene la presenza americana abbia anche valore strategico, in mezzo alle vie della seta e alle ambizioni eurasiatico russe). Molto americani vogliono vedere il punto finale della missione. E sono tutti elettori potenziali.

(Foto: Wikipedia)

 

 

Dialoghi per la pace e attentati sanguinari. I Talebani, nonostante Trump

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