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Uno dei fattori che ha contribuito alla iniziale sottovalutazione del problema Covid – 19 è stato la controversa problematica della carica virale e delle connesse modalità di contagio. Di regola – anche se non sempre – la contagiosità di una malattia infettiva è direttamente correlata alla concentrazione dell’agente patogeno nell’organismo infetto. Maggiore è la carica del patogeno, più evidenti sono i sintomi e maggiore è la contagiosità. Simmetricamente, gli asintomatici o paucisintomatici o “debolmente sintomatici” sembrano avere una bassa concentrazione di patogeno e sono di norma poco contagiosi o addirittura non sono contagiosi affatto. La Covid – 19 pare però essere un’importante eccezione a questa regola e la sua straordinaria e veloce diffusione sembra essere dovuta proprio all’elevato livello di contagiosità anche degli asintomatici o debolmente sintomatici, che per tale ragioni sfuggono alle prime misure di prevenzione.

Questo fenomeno si replica anche nel settore economico del mondo del lavoro e delle imprese colpite dalla pandemia? Il paragone è suggestivo e offre spunti di riflessione.

Interi comparti dell’economia si sono immediatamente “ammalati” di Covid con sintomi apparsi da subito gravissimi e quasi critici: turismo, spettacolo, ristorazione, artigiani, filiera agricola e professioni. Molte imprese di questi comparti sono, nel breve volgere di 3 mesi, letteralmente morte. Crollo spontaneo dei consumi e chiusure forzate hanno infatti cagionato l’immediata chiusura di numerose imprese – soprattutto di piccole ma anche medie dimensioni -, di artigiani e di professionisti che, come si temeva, non hanno riaperto una volta finito il lockdown.

Altri soggetti hanno invece scelto di ripartire: sono i soggetti che potremmo definire “debolmente sintomatici”. Sono le imprese e gli operatori che, pur appartenendo ai settori più sotto pressione, sono riusciti, almeno per ora, a resistere: magari perché dotati di una solidità finanziaria maggiore, perché in grado di ricorrere efficacemente al credito, perché meglio posizionati sul mercato, ovvero anche solo per un mero concorso di contingenze casualmente positive.
Quali sono le conseguenze della presenza nel nostro tessuto industriale ed economico di soggetti “debolmente sintomatici”? Almeno due.

La prima è che i debolmente sintomatici sono pur sempre soggetti “ammalati”, cioè colpiti dalla crisi. Tale condizione di precarietà e grande incertezza si configura come una sorta di ipoteca, un’incognita incalcolabile sull’equilibrio economico-finanziario dell’imprenditore, sulla sua capacità di stare sul mercato, sulle sue possibilità di pianificazione. Il vulnus inflitto al soggetto è allora subdolo, solo temporaneamente accantonato o, meglio, differito. L’incedere dei cicli economici e gli effetti sistemici negativi della crisi che i macroeconomisti vedono affacciarsi già nella tarda estate rappresentano una minaccia concreta anche per chi, al momento sembri godere di una salute economica relativamente stabile. Perché in verità in questo contesto sono sufficienti eventi avversi anche minimi per produrre risultati addirittura esiziali su un organismo già compromesso – restando nella metafora, come ho già osservato ci ritroveremmo anche in campo economico a discutere se un’impresa sia morta “per” o “di” coronavirus-. Basti pensare, da ultimo, alla crisi di Brooks Brothers. È bastato un (relativamente) piccolo riposizionamento da parte dei consumatori abituali di tali prodotti per innescare una crisi irreversibile su un’impresa già duramente provata, costretta a chiedere la protezione del Chapter 11 del Bankruptcy Code Americano.

Il debolmente sintomatico, dunque, è un soggetto economico che vede la propria salute correre un gravissimo rischio.
Ma tale figura appare di massima importanza anche sotto un altro decisivo profilo.

Anche in campo economico, così come in campo medico, i debolmente sintomatici sono contagiosi e ben possono trasmettere la malattia. E anche in campo medico l’insidia appare tanto maggiore quanto più bassi sono i sintomi della crisi: i soggetti che presentano crisi latenti continuano a operare con i propri concorrenti, con i propri fornitori, con i lavoratori e con l’intero tessuto socio-economico. Ed è fin troppo noto che il livello di integrazione degli operatori nell’economia è talmente elevato che i fenomeni di crisi sono esposti a meccanismi di rapida concatenazione e, appunto contagio. Un’impresa in crisi – il dato è di per sé evidente – rischia molto spesso di travolgere con sé tutti i soggetti con i quali interagisce normalmente. Ora, nel caso di specie, il pericolo appare ancor più concreto, giacché gli operatori “sani” possono essere indotti a ritenere che l’impresa “sopravvissuta” alla crisi Covid – 19 sia oramai fuori pericolo, cioè pienamente solida e solvibile.
Ma la gravità della crisi si apprezza anche sotto un ultimo punto di vista.

Molti settori sembrano non essere stati affatto toccati dalla pandemia. I lavoratori del settore pubblico, i pensionati – soprattutto quelli che beneficiano di trattamenti elevati -, i dipendenti di molte aziende che a esempio operano nel settore delle tecnologie informatiche o della sanificazione, che hanno invece beneficiato, almeno in una prima fase, dell’inedita situazione.

Tuttavia, si tratta ancora una volta di una situazione affatto stabile e tutt’altro che rasserenante. Quanto al settore pubblico basti pensare al crollo del gettito fiscale, circostanza che richiederà misure di ridimensionamento indifferibile e potrà, in un futuro non così remoto, incidere anche su quel comparto. Ma anche il settore privato rischia di venire coinvolto, se non travolto, dal generale crollo dei consumi e dalla presenza di imprese sempre più indebolite.

L’analisi degli strumenti di allerta e prevenzione, probabilmente in una nuova e più accurata visione rispetto a quanto previsto nel nuovo Codice della Crisi, appare quanto mai urgente e deve essere molto affinata, se non radicalmente ripensata.
I “debolmente sintomatici”, dunque, sono soggetti di cui è necessario prendersi cura con interventi legislativi ad hoc; essendo comunque “contagiosi”, per la salute economico-finanziaria dell’intero sistema Paese.

Le imprese asintomatiche sono un danno? La riflessione di Chimenti

Uno dei fattori che ha contribuito alla iniziale sottovalutazione del problema Covid – 19 è stato la controversa problematica della carica virale e delle connesse modalità di contagio. Di regola – anche se non sempre - la contagiosità di una malattia infettiva è direttamente correlata alla concentrazione dell’agente patogeno nell’organismo infetto. Maggiore è la carica del patogeno, più evidenti sono…

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