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Un tempo era l’avamposto della Cina nell’Europa dell’Est, ora guarda a Washington Dc. Che è successo alla Repubblica Ceca?

Un comunicato congiunto con gli Usa fa capire a Pechino che la musica è cambiata in una delle più scottanti partite di politica estera: la rete 5G. Washington e Praga vogliono “rafforzare la loro cooperazione” nella banda ultralarga, annunciano.

Già suona come un semi-addio alla cinese Huawei, campione della telefonia mobile con base a Shenzen che gli Usa vogliono escluso e messo al bando dalla rete 5G (loro e degli alleati) perché considerato alla stregua di una protesi del Partito comunista cinese.

E infatti il comunicato prosegue con una lista di requisiti che secondo i due Paesi la rete 5G e chi vorrà entrarci dovranno rispettare. L’hardware e il software non devono essere “soggetti a influenze estere, senza un controllo giudiziario indipendente”. È richiesta trasparenza su “proprietà, partnership e la struttura di corporate governance”. Il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale. Delle “regole sul comportamento etico”.

Poi l’affondo finale. “Gli Stati Uniti e la Repubblica ceca supportano le discussioni sulla sicurezza del 5G all’interno della Nato”. Sono inoltre chiamati in causa i “Principi di Praga” sul 5G, contenuti nella dichiarazione finale della riunione che ha radunato nella capitale ceca a inizio maggio del 2019 trenta Paesi alleati degli Usa, sia Nato che Ue, comprese Australia e Giappone, per ribadire che nella scelta del 5G “il rischio dell’influenza di un fornitore di un Paese terzo deve essere preso in considerazione”.

Esulta il National Security Council: “La dichiarazione congiunta Usa-Repubblica ceca sulla sicurezza del 5G è un passo importante per proteggere le nostre nazioni; altri dovrebbero seguire l’esempio e assicurare la sola partecipazione di fornitori affidabili alla rete 5G”.

Un richiamo che non passerà inosservato a Pechino. Nella partita di shanghai per la conquista della rete 5G europea, la Repubblica Ceca è il “bastoncino nero” che decide il risultato finale. Lo slittamento a Ovest di un vero caposaldo della strategia di penetrazione cinese in Europa è iniziato mesi fa, e continua ad angustiare il presidente Xi Jinping.

Il Paese dell’Est è meta privilegiata della nuova Via della Seta, una potenza industriale della regione e uno dei componenti più autorevoli del formato 16+1 con cui la Cina interagisce con i partner regionali. Nel 2016 ha sposato il progetto imperiale di Xi, siglando una partnership strategica con l’ex Celeste Impero.

Nell’ultimo anno però fra Praga e Pechino non sono mancate incomprensioni. Su tutte, la partita del 5G. Per avere un sentore della presenza cinese, basti pensare che negli ultimi quattro anni Huawei ha avuto in gestione le comunicazioni del presidente Milos Zeman e del suo staff.

Non a caso, quando a dicembre Nukib, l’agenzia di cybersecurity ceca, ha definito Huawei “una minaccia per la sicurezza nazionale”, la diplomazia cinese ha accusato il colpo. Non è bastato a rimettere sui binari le relazioni bilaterali l’intervento del primo ministro Andrej Babis, che ha licenziato notte-giorno il capo dell’agenzia Dusan Navratil per “mancanza di competenze adeguate”.

Ancora a gennaio, il quotidiano inglese del Pcc Global Times titolava così: “Il governo ceco seguirà i principi di trasparenza e correttezza sul 5G di Huawei”. Ma il domino dei rapporti era già iniziato.

A inizio marzo, l’ambasciatore cinese a Praga ha minacciato il governo ceco di “ripercussioni” sulle aziende in Cina se il presidente del Senato Jaroslav Kubera avesse fatto visita a Taiwan. In risposta, Babis ha chiesto la “rimozione” del diplomatico.

La pandemia ha ravvivato le tensioni. Il governo ceco ha rispedito a Pechino un carico di test per il Covid-19 risultati inutilizzabili.

Ora il macigno del comunicato congiunto con Washington, frutto di una paziente tessitura diplomatica del segretario di Stato Usa Mike Pompeo (nella foto), che negli ultimi mesi ha rivolto continui appelli alla cooperazione alla Repubblica ceca e ai Paesi alleati in Europa.

Fra questi c’è anche l’Italia, che non si è ancora pronunciata sulla presenza cinese nel 5G né ha firmato un documento congiunto con gli Usa come quello ceco. Per questo la dichiarazione congiunta è un messaggio che arriva (anche) dritto a Palazzo Chigi.

D’altronde la scelta di Praga di ammainare la bandiera cinese non è isolata. Altri Paesi europei che fino a poco tempo fa erano pronti a spalancare le porte a Huawei sono tornati sui loro passi. È il caso della Grecia: nonostante le pressioni di Pechino, Cosmote, il primo player di servizi di comunicazione mobile greco, ha scelto la svedese Ericsson come unico fornitore per il 5G Radio Access Network (RAN) nell’ambito di un importante accordo di modernizzazione della rete.

Bye bye Huawei. La via ceca al 5G che piace agli Usa (messaggio anche all’Italia)

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