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Dal ben-essere all’essere-bene. Questa è la sfida che lancia papa Francesco con la sua visione di economia. Per comprendere questa visione del santo padre, e le sue prospettive, credo che si debba risalire alla radice del termine stesso di economia, dal greco oikonomia, come “amministrazione della casa”. Concetto esplicitato dal pontefice in una arguta e sottile scelta posta a capo della sua enciclica Laudato si’.

Se a tutti appare scontato il riferimento al Cantico delle creature di san Francesco, risulta evidente, al contrario, l’unicità dell’utilizzo di un titolo in italiano per un’enciclica. Ancor più se pensiamo che è una citazione ben nota, quando invece ogni pronunciamento magistrale consegnava la sua specifica identità proprio attraverso le prime due parole latine, proprio come l’intonazione offre la particolarità di un componimento musicale.

Vi è però un ulteriore dettaglio che è particolarmente degno di nota: il sottotitolo, ovvero “la cura della casa comune”. È esattamente il corrispondente del greco oikonomia. Peraltro, trasformando il termine tradizionale “cosa comune”, la respublica latina, in “casa comune”. Una vocale cambiata apre un orizzonte nuovo di senso, che ha il suo seme in un’intuizione di papa Benedetto XVI, che nell’enciclica Caritas in veritate formula per la prima volta il concetto di ecologia umana integrale, che poi riproporrà in diversi insegnamenti.

Un’ecologia, quindi, anche economica, in dialogo con un’ecologia sociale, culturale e relazionale. “Occorre un rinnovato, profondo, esteso senso di responsabilità da parte di tutti. La vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita”. Sono parole di papa Francesco stesso, pronunciate al World economic forum di Davos-Klosters il 17 gennaio del 2014. In quell’occasione il santo padre aggiunse che “la comunità imprenditoriale internazionale può contare su molti uomini e donne di grande onestà e integrità personale, il cui lavoro è ispirato e guidato da alti ideali di giustizia, generosità e preoccupazione per l’autentico sviluppo della famiglia umana. Vi esorto, perciò, ad attingere a queste grandi risorse morali e umane, e ad affrontare tale sfida con determinazione e con lungimiranza”.

Il filosofo francese Henri Louis Bergson commenterebbe queste parole con un’esortazione, “pensa da uomo d’azione e agisci da uomo di pensiero”. E forse a papa Francesco potrebbe piacere come definizione di manager. La cura della casa comune, come nuovo orizzonte, porta alla considerazione di un’evoluzione o maturazione attuale dell’adagio “il lavoro nobilita l’uomo” in “il lavoro mobilita l’uomo”. Nella pagina della Creazione, il settimo giorno Dio riposa. Mi piace interpretare questo verbo come ri-posare: Dio posa in modo nuovo l’uomo. Infatti Dio, ritirandosi, non considera l’uomo come il giardiniere del paradiso terrestre, quanto come il socio di capitale nell’impresa-mondo, perché lo renda migliore.

“Meglio”, però, è comparativo di maggioranza di bene, quindi non può esserci meglio se prima non c’è la scelta per il bene, come responsabilità di fare bene e di fare il bene. La managerialità nell’ottica di questo pontificato, come cura della casa comune, come oikonomia, si può ritrarre in tre passaggi necessari: do well, do good, be good. Tutti vogliono frutti, si aspettano frutti, reclamano frutti, ma per averne bisogna prima accettare di essere albero. Non è facile, né immediato.

Chiede una quotidianità generativa: bisogna scegliere di curare i semi, avere la pazienza quotidiana del coltivare, proteggere dalle tempeste e dai parassiti, avere il coraggio di andare in profondità con le radici, puntare verso il cielo senza ripiegarsi su sé stessi, avere la forza di tenere la schiena e il busto dritti, sforzarsi di stare sempre a testa alta, mettere in conto l’inverno e l’autunno, accettare la potatura anche se fa male ma irrobustisce, e riconoscere la preziosità di chi si prende cura di te.

Siamo eccessivamente sbilanciati sui fattori produttivi, mentre sarebbe necessario azionare delle dinamiche generative che ci rendano “imprenditivi”, in modo da considerare il prossimo come brand individuality. Il che, però, richiede prima l’opzione etica fondamentale di una brand identity di sé stessi, che scelga l’alta qualità come criterio di scelta e metro di giudizio. Detto in altro modo, per avere di più di quello che hai, devi diventare di più di quello che sei; se non cambierai quello che sei, avrai sempre e solo quello che hai.

L’articolo è estratto dall’edizione cartacea di Formiche “Laudata Economia“, dedicata alle nuove ricette economiche che si ispirano al bene comune, alla dignità della persona, all’inclusività e alla difesa dell’ambiente. Don Giulio Dellavite sarà inoltre fra i relatori dell’appuntamento “Laudata Economia”, un momento di dialogo e di riflessione realizzato da Formiche in collaborazione con il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II. L’incontro, che si terrà martedì 3 marzo dalle 10.00 alle 15.30 presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia di Roma, vedrà la partecipazione di autorevoli esponenti del mondo laico e cattolico e si avvarrà della media partnership di Sky TG24.

Qui tutte le info sull’evento

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Vademecum del manager illuminato. I suggerimenti di Don Giulio Dellavite

Di Giulio Dellavite

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