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Negli ultimi mesi, la crisi russo-ucraina, l’incremento delle operazioni ibride e le campagne di disinformazione hanno spinto i grandi Stati dell’Europa occidentale a ripensare le proprie architetture di sicurezza con una consapevolezza nuova. Le minacce moderne intrecciano informatica, strategia cognitiva e capacità operativa.

Più opzioni e maggiore operatività

In Germania, è proprio la Cdu a dettare il tono della trasformazione. Come riportato da Der Spiegel, il presidente Commissione di Controllo Parlamentare sull’Intelligence (PKGr) del Bundestag, Marc Henrichmann, ha inaugurato il dibattito pubblicamente: all’intelligence non bastano più gli strumenti tradizionali di raccolta informativa nei momenti di crisi. Secondo il deputato tedesco, in situazioni di tensione occorre dotare i propri servizi di intelligence di maggiori poteri operativi, soprattutto sul piano della difesa cibernetica, per intervenire tempestivamente su infrastrutture digitali critiche. Un salto che, fino ad ora, la legislazione tedesca non consente, in quanto i servizi segreti sono vincolati dalla rigida separazione tra attività d’intelligence e poteri coercitivi legati all’azione giudiziaria o di polizia.

Henrichmann non parla solo di poteri tattici, propone una riforma strutturale che veda la Germania avvicinarsi a un modello federale europeo dell’intelligence, capace di superare gli intasamenti burocratici tra Bnd (intelligence esterna), BfV (intelligence interna) e Mad (contropartita militare). L’idea è rendere il sistema tedesco più agile, interoperabile e reattivo nella cooperazione internazionale, anche di fronte alla snellezza e rapidità degli attori ostili e delle loro operazioni, con catene di comando verticali e molto più fluide.

Rigidi significa deboli

Oggi la struttura tedesca è ancora molto stratificata. Il BfV e i servizi interni (e delle Länder) operano in chiave preventiva, non possedendo poteri di polizia e operano secondo il principio di separazione funzionale, un’eredità della storia tedesca e della paura del “servizio segreto totalitario”. Il Mad, invece, ha il compito di proteggere l’esercito da spionaggio, estremismo interno e insider threat, anche in ambito informatico.

Questa rigidità ha un costo nella guerra ibrida moderna. Il governo federale ha già reagito con iniziative pratiche: il BfV ha recentemente istituito una task force destinata a contrastare interferenze straniere in vista delle elezioni, attenzionando cyberattacchi, sabotaggi e campagne di disinformazione. È un segnale che anche a Berlino si stanno mettendo le basi per una reazione integrata, non più reattiva.

Londra per l’integrazione pubblico-privato e nuove regole per la resilienza cibernetica

Se la Germania riflette in profondità, il Regno Unito è già lungamente in marcia. Sin dal 2013 l’MI5 ha rivendicato pubblicamente il valore delle partnership con le imprese per proteggere infrastrutture critiche. Oggi, dopo episodi ad alto impatto, come gli attacchi che hanno paralizzato la produzione di Jaguar Land Rover, la collaborazione assume un significato strategico. Le aziende del settore energia, telecomunicazioni, finanza e catena logistica vengono coinvolte direttamente nell’architettura nazionale difensiva come nodi attivi del sistema di deterrenza.

Parallelamente, il governo britannico ha messo in cantiere il Cyber Security and Resilience Bill, con l’obiettivo di aggiornare il quadro regolatorio originario del 2018. Il disegno di legge amplia il perimetro dei soggetti obbligati (inclusi i Managed Service Providers), accorcia i tempi di segnalazione dei cyber incident da 72 a 24 ore e introduce requisiti stringenti per la sicurezza delle supply chain. In quest’ottica il Regno Unito “importa” elementi del modello europeo NIS2, adattandoli al proprio contesto. Nell’era digitale, la linea di difesa passa da una società strategica (imprese, infrastrutture, soggetti critici) unita in un unico fronte sinergico contro l’offensiva cibernetica. Sinergie pubblico-privato, meccanismi operativi più agile.

Idee di difesa

L’economia digitale è il nuovo terreno di scontro globale. Come ha osservato Rebecca Harding, direttrice del Centre for Economic Security, “finché non parleremo di sicurezza in termini economici, non potremo davvero comprendere la natura della guerra ibrida”. La vulnerabilità economica è questione di sicurezza nazionale: quella cibernetica, industriale, politica ed economica si intrecciano in un unico ecosistema, vera spina dorsale della sicurezza dei Paesi.

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