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Sono arrivate a Dubai almeno 70.000 persone per la Cop28. Si stima che 20mila circa saranno i delegati dei 197 Paesi che hanno ratificato la Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici, oltre ai funzionari delle Nazioni Unite e delle Banche di Sviluppo. 50mila saranno i rappresentanti di Agenzie Internazionali, Organizzazioni non governative, imprese multinazionali, istituzioni finanziarie, istituti di ricerca.

Questi numeri danno l’immagine della grande “fiera” internazionale che si è progressivamente sviluppata attorno al processo negoziale. Mentre i delegati interpretano  in stanze rigorosamente chiuse i dettagli di articoli e sub paragrafi di documenti spesso sul tavolo da anni e senza conclusioni, al di fuori  delle stanze negoziali una serie lunghissima di eventi è dedicata alla presentazione degli scenari sul clima che cambia; alla promozione di tecnologie e soluzioni per la protezione dell’ambiente e la produzione di energie “pulite”; ai meccanismi finanziari per sostenere la riduzione delle emissioni e l’adattamento ai cambiamenti climatici; agli scenari geopolitici condizionati dal cambiamento climatico e che a loro volta condizionano le soluzioni, alla promozione di accordi volontari tra Paesi e imprese. E a Dubai le imprese di Emirati e Arabia Saudita daranno evidenza ai progetti in corso per la decarbonizzazione delle proprie economie, senza tuttavia trasferire queste iniziative nel negoziato.

In altre parole, come si è visto a Glasgow nel 2021, alle difficoltà di un negoziato sempre più involuto attorno a commi e sub-commi di documenti tanto lunghi quanto inconcludenti, si contrappone la partecipazione sempre più vivace e propositiva di una “società civile” che punta alle soluzioni: i risultati più significativi di Glasgow sono stati accordi volontari promossi da imprese e associazioni che hanno coinvolto molti Paesi e agenzie internazionali al di fuori del negoziato.

Stesso scenario all’inizio della Cop28: l’iniziativa degli Emirati ha sbloccato il “Loss and Damage Fund”, iniziativa volontaria non sottoposta al vincolo di decisioni formali della Cop. Molti Paesi si sono associati con impegni unilaterali. In particolare l’impegno di Giorgia Meloni, prossimo presidente del G7, ha dato rilievo a questa iniziativa per il finanziamento dei programmi di protezione dei Paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici e più poveri

La crescente consapevolezza dei rischi connessi al cambiamento climatico condivisa dalle più grandi economie, e gli impegni volontari di Paesi, imprese e istituzioni finanziarie, non bastano.

Trent’anni dopo la firma della Convenzione sui Cambiamenti Climatici, dopo 27 Cop, dopo il Protocollo di Kyoto e l’Accordo di Parigi, le emissioni di CO2 e dei gas ad effetto serra sono cresciute del 60%, la concentrazione di CO2 in atmosfera è cresciuta del 20%, nell’emisfero Nord la  temperatura tra gennaio e ottobre  2023 è cresciuta di 1,13 °C rispetto al valore medio degli ultimi 174 anni, mentre anno dopo anno aumentano la frequenza e l’intensità degli eventi climatici estremi con danni economici e perdita di vite umane (Noaa, Usa)

Papa Francesco nella Laudate Deum ha auspicato che dalla Cop28 dobbiamo “aspettarci delle forme vincolanti di transizione energetica che abbiano tre caratteristiche: che siano efficienti, che siano vincolanti e facilmente monitorabili”.

Purtroppo l’auspicio di papa Francesco è rivolto a un auditorio che non è in grado di dare una risposta. Ad oggi, non sembra che Cop28 possa adottare conclusioni diverse dalle generiche e non impegnative risoluzioni delle ultime Cop.

Il meccanismo della Cop ha dimostrato di non essere in grado di assicurare impegni vincolanti e facilmente monitorabili. L’esperienza del Protocollo di Kyoto prima, e del Paris Agreement poi, danno evidenza ai ritardi e alle contraddizioni nell’attuazione di impegni che dovevano essere vincolanti. L’esperienza suggerisce la necessità di un meccanismo multilaterale innovativo.

L’unanimità va sostituita da una maggioranza qualificata per l’approvazione di decisioni vincolanti per tutti.

Mentre l’agenda del negoziato dovrebbe essere semplificata e concentrata sulle risposte alle sfide principali della crisi climatica:
– l’introduzione di standard e misure fiscali a livello globale per guidare la riduzione dell’intensità di carbonio nella produzione di energia, nei processi industriali, nella mobilità;
– l’istituzione di un’agenzia internazionale specializzata per la protezione delle zone più vulnerabili del pianeta, finanziata con il Loss and Damage Fund;
– l’adozione delle metodologie di calcolo della generazione dei crediti di carbonio per il mercato volontario;
– la trasformazione del Green Climate Fund in una Banca di Sviluppo finanziata annualmente con contributo obbligatorio dai 197 Paesi secondo la scala Nazioni Unite, e dalle 100 principali aziende mondiali in relazione al loro carbon footprint.

Questo “pacchetto” di riforme del meccanismo della Cop potrebbe essere portato sul tavolo del G7 e del G20: un’occasione per costruire una proposta globale condivisa e sostituire l’obsoleta “tecno-diplomatica burocrazia del clima” con un negoziato politico in grado di affrontare con qualche possibilità di successo le sfide del cambiamento climatico.

Cop28, il multilateralismo che non funziona. Ecco perché secondo Clini

Il meccanismo della Cop ha dimostrato di non essere in grado di assicurare impegni vincolanti e facilmente monitorabili. L’esperienza del Protocollo di Kyoto prima, e del Paris Agreement poi, danno evidenza ai ritardi e alle contraddizioni nell’attuazione di impegni che dovevano essere vincolanti. Corrado Clini, già ministro dell’Ambiente, suggerisce un “pacchetto” di riforme del meccanismo della Cop che potrebbe essere portato sul tavolo del G7 e del G20

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