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Che l’Europa non sia stata capace di mettere a punto una propria identità in materia di difesa, di politica estera, economica, fiscale e così via è un fatto comprensibile: l’intergovernativo, guidato dagli interessi nazionali ha continuato a farla da padrone sul comunitario, sull’interesse della collettività dei 28 Paesi nel loro insieme. Meno comprensibile invece come sia ancora utopia una risposta comune in materia di emergenze. Oggi il coronavirus, domani le catasfrofi di una metereologia impazzita, gli incendi sempre più indomabili o i terremoti perennemente dietro l’angolo.

Mi pare di ricordare che intorno al 2010 venne assegnato a Bruxelles uno dei collaboratori più capaci di Guido Bertolaso, il suo numero due Agostino Miozzo, con il compito tra l’altro di promuovere la nascita di un organismo comunitario per la gestione delle emergenze, una sorta di unità di crisi che potesse attivarsi in caso di necessità in tempi molto rapidi. La cosa non andò a buon fine, e Miozzo rientro’ in Italia dopo quattro anni. Sarebbe interessante scoprire i motivi del flop, qualcuno dice che si trattò di fuoco amico su Miozzo considerato espressione del vivaio berlusconiano.

Sia come sia, il danno fu enorme perché, più che di un colore politico, Miozzo era l’espressione di una macchina da guerra quale era la Protezione civile italiana di quegli anni; le insorgenze emergenziali o i problemi importanti e urgenti venivano sistematicamente risolti con determinazione, professionalità, rapidità ed una giusta dose di spregiudicatezza. Il fautore di tutto ciò, Guido Bertolaso, aveva inoltre la capacità di circondarsi di collaboratori che prelevava senza alcun riguardo tra più capaci delle varie amministrazioni con le quali interagiva quotidianamente. Da buon coach sapeva insomma mettere insieme delle squadre imbattibili e di fatto imbattute in materia di protezione civile e di gestione delle crisi.

Per una delle solite bizzarrie italiane il modello non durò a lungo così come concepito; ancora una volta la politica non seppe far argine a una giustizia ottusa e incurante del bene comune e il modello di una istituzione che interveniva nelle urgenze risolvendone i problemi si impantanò definitivamente.
Di qualcosa di simile al modus operandi della protezione civile di allora ci sarebbe bisogno oggi in Europa. Di un organismo che all’occorrenza si possa attivare in tempi rapidi e prendere in mano le situazioni di crisi cortocircuitando le lentezze della ordinarietà, individuando senza indugio le cose da fare, disponendone l’attuazione sollecita e controllandone l’esecuzione.

Oggi invece ci troviamo a confrontarci con circostanze drammatiche senza neppure parlarci tra noi, senza voler neppure prender nota delle esperienze fatte dall’altro per fronteggiare le stesse medesime situazioni.
Per non parlare poi della scarsa sensibilità di non pochi paesi partners che nella migliore delle ipotesi è solidale solo a parole, pronto con l’altra mano a chiudere le frontiere, bloccare materiale sanitario alle proprie dogane o a mettere in bocca le giuste considerazioni a chi ha la potestà di far schizzare lo spread alle stelle.

Questa emergenza finirà, ne usciremo tutti con le ossa rotte, nulla sarà come prima, andranno con calma rielaborati i percorsi per una nuova normalità. L’auspicio è che tra le lezioni apprese dal dramma ci sia anche quella di progettare una risposta comune, rapida e professionale alle emergenze che in futuro riguarderanno la comunità europea.

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