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Cosa può ridurre il solco tra l’etno-nazionalismo che caratterizza in modo sempre più marcato la presidenza Trump e la Santa Sede? Mike Pence, vicepresidente degli Stati Uniti, potrebbe aver puntato sulla valorizzazione della scelta anti-abortista dell’amministrazione americana. È arrivato in Vaticano nelle ore in cui Trump diveniva il primo presidente della storia degli Stati Uniti a unirsi alla marcia degli anti-abortisti, e con la stampa lo ha ricordato, e potremmo dire che lo ha anche rivendicato.

I cattolici sono sempre stato elemento importante di questo fronte, ma la radicalizzazione di oggi riduce il peso delle appartenne religiose, spostandolo verso quelle etniche. Più latinos che cattolici, e così via. L’estremizzazione però non aiuta neanche qui. In questo contesto elettorale così polarizzato difficilmente un tema così sensibile gestito nel contesto di scontri frontali potrebbe de-etnicizzare il voto.

La preoccupazione dunque permane nonostante la certezza che l’anti-abortismo unisce, perché il Vaticano di Francesco, saldamente ancora alla dottrina, non ha mai amato la prospettiva o per meglio dire l’ideologia dei guerrieri culturali. Ecco così che forse Mike Pence, il catto-evangelicale come si definisce, ha esposto con la sua stessa storia personale il rischio di una appendicizzazione del cattolicesimo a fronte del protagonismo evangelicale sulle scelte radicali, ma anche la prospettiva di un argine rispetto a tendenze più marcate.

Chissà se può essere letto così il fatto che dopo il colloquio in Vaticano ha calato una carta importante. Nelle sue dichiarazioni si è soffermato sul Venezuela, che è un problema di prima grandezza mondiale e che nessuno aveva evocato prima dell’incontro. Il Venezuela avvicina? Il Venezuela preoccupa, certamente, e il fatto che Pence abbia ricordato i suoi 5 milioni di esuli umanamente stordisce e diplomaticamente interessa. Per l’enormità del dato, ormai noto a tutti, ma anche per la scarsa attenzione proprio al tema-profughi. “Volevo sapere da Papa Francesco cosa pensava si dovesse fare come comunità globale per il Paese”. Comunità globale… Un’espressione importante. Che rimanda all’idea di qualcosa che unisce tutti gli uomini non solo tutti i Paesi.

Proprio il Venezuela potrebbe aver portato nell’agenda dei colloqui anche un altro grave cruccio latino-americano, il Nicaragua. Sono due questioni che non fanno ombra né al tema dei diritti umani, né alla questione cinese, che Pence aveva evocato come argomenti prima di raggiungere Roma.

Sempre secondo fonti americane i colloqui avrebbero toccato anche il tema dei cristiani in Medio Oriente. Ed è una questione che sta notoriamente a cuore al Papa e a Pence, che ha posto al centro della sua azione politica proprio il tema della libertà religiosa. Ma sembra strano che un tema del genere non abbia portato il discorso anche sul piano che Trump dovrebbe annunciare all’inizio della prossima settimana. Nelle brevi dichiarazioni di Pence c’è stato un riferimento all’estremismo iraniano, e anche per questo stupisce la non menzione del piano, perché anche quell’estremismo dovrebbe essere contenuto, almeno nelle intenzioni, dal piano di pace annunciato come imminente. Possibile lasciarlo sullo sfondo nei riferimenti alla stampa e non averlo fatto messo sul tavolo discorrendo in Vaticano?

Forse la mancata citazione del tema cinese da parte di Pence, sempre in quanto ha detto ufficialmente, non vuol dire che la questione, a differenza di quanto indicato prima dell’udienza, non sia stata citata. Ma qui è noto come capirsi, trovare un linguaggio comune, sia la prima esigenza per due realtà che al riguardo hanno dimostrato distanza. Non parlarne non stupisce, e non vuol proprio dire che non sia stato fatto, lontano dai riflettori. L’obiettivo, se c’era, poteva essere solo quello di trovare un linguaggio comune su un tema così importante per entrambi. Una questione che segna il futuro, dei cristiani cinesi ovviamente, ma non solo loro.

Cina, Venezuela, Nicaragua e Medio Oriente. Tutte le carte di Pence a Roma

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