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Morto un capo se ne fa un altro. È lapidario il giudizio di Carlo Jean, già consigliere militare del Presidente della Repubblica, generale degli Alpini in congedo e presidente del Centro di Geopolitica economica, sullo strike americano che ha ucciso nella notte a Baghdad il generale Qasem Soleimani, comandante della Forza Quds e uno dei più potenti uomini in Iran e nell’intero Medio Oriente.

Generale, ora che succede?

Non cambia nulla. L’uccisione di un capo militare provoca automaticamente la sua sostituzione con il suo vice, che verosimilmente sarà obbligato a seguire la stessa strategia.

Ovvero?

Soleimani ha elaborato una dottrina che associa le milizie all’impiego di missili. Le milizie filo-iraniane stanziate in Iraq continueranno a metterla in atto.

Non era un capo qualsiasi.

Assolutamente no, era una figura leggendaria. Ma in ogni organizzazione militare un capo ha sempre un suo vice che è pronto e addestrato a subentrare nel caso in cui il capo sia ucciso. Ogni struttura gerarchica che si rispetti ha una sua flessibilità, e i Pasdaran non fanno eccezione.

È un colpo letale al potere della Repubblica Islamica?

Il potere rimane nelle mani di Khamenei e degli ayatollah. Soleimani era un esecutore di ordini che senz’altro contribuiva a elaborare, ma non prendeva decisioni in piena autonomia.

Il governo iracheno ha già condannato l’attacco.

Naturale, è sostenuto dalle milizie sciite, non può tollerare una simile operazione. Difficile però che dalle proteste passi all’azione. Non dimentichiamo che sono appena arrivati a Baghdad altri 750 soldati americani a difesa del compound dell’ambasciata.

È stato un azzardo di Trump?

È stata anzitutto una perfetta operazione di intelligence, che dimostra come i Servizi americani siano ben radicati in Iraq. Come prevedibile sta dividendo avversari e sostenitori di Trump. Soleimani era un nemico degli Stati Uniti e responsabile della morte di molti americani.

I democratici accusano Trump di aver gettato una bomba in una polveriera.

La sua eliminazione provocherà una dura reazione dei media liberal ma trova il consenso di buona parte dell’opinione pubblica americana. Criticando l’operazione i democratici si stanno tagliando i piedi da soli a meno di un anno dalle elezioni.

Siamo a un passo da una guerra fra Washington e Teheran?

Difficile che nasca un conflitto aperto con l’Iran. La Repubblica islamica è una fortezza circondata da montagne. E la politica americana mira a evitare impegni boots on the ground in Medio Oriente. Trump ha ritirato progressivamente le sue forze dal Golfo. È rimasta però una potenza navale e aerea notevole.

Quale può essere la prossima mossa degli Usa?

Bloccare i porti dove gli iraniani imbarcano le petroliere, ad esempio. L’economia iraniana dipende totalmente dall’export di petrolio, che ad oggi è diminuito da un milione e mezzo di barili al giorno a meno di 500mila. Un altro colpo può mettere in ginocchio Teheran.

L’Iran è pronto a una guerra?

L’Iran ha una forza militare molto sviluppata, gli Stati Uniti non hanno le forze di terra né la volontà di intervenire in Iran. Ma c’è di più.

Prego.

Oggi l’Iran è legato a Russia e Cina, come dimostra l’enorme esercitazione navale nel Golfo di Hormuz. Una guerra frontale può innescare una pericolosa escalation.

Quindi?

Gli Stati Uniti continueranno a usare l’arma più efficace di cui dispongono: l’economia. È la strategia vincente in un mondo globalizzato. Il blocco continentale inglese non riuscì due secoli fa a fermare Napoleone, ma il controllo delle tecnologie critiche e gli embarghi internazionali contribuirono il secolo scorso al crollo dell’Unione sovietica.

Che reazione si aspetta dall’opinione pubblica iraniana?

Ripeto, Soleimani era una figura mitica e ci sarà sicuramente una forte reazione da parte iraniana. Potrebbe essere solo verbale o più probabilmente una pianificazione di attacchi mirati contro personale americano, una vendetta della morte di Soleimani è considerata necessaria per sollevare il morale iraniano che con questo attacco è stato abbattuto.

La popolazione seguirà Khamenei?

A dispetto di quel che si dice la popolazione iraniana è la più occidentalizzata nell’intero Medio Oriente. Elegge parlamentari dal 1905, ed è erede della grande cultura persiana. Questo pesa ancora oggi sull’opinione pubblica, dove il nazionalismo è un sentimento diffuso. Se gli Stati Uniti intensificheranno le sanzioni che già hanno messo in grave difficoltà l’economia iraniana questo orgoglio nazionale potrebbe venir meno. Il patriottismo si arresta sempre quando la pancia è vuota.

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