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“Huawei ci ha fatto causa? Se non ti fanno causa vuol dire che non stai facendo bene il tuo lavoro”. Sorride Tom Wheeler, quando gli diciamo che Huawei, il colosso cinese della telefonia mobile, ha annunciato un’azione legale contro la Federal Communication Commission (Fcc), l’agenzia federale del governo americano che ha presieduto per quasi cinque anni durante il secondo mandato di Barack Obama. “Fa parte del lavoro, se non c’è una causa vuol dire che non hai preso una decisione importante” chiosa dal Centro Studi Americani di Roma, a margine della presentazione del nuovo rapporto Ispi-Brookings sulla sicurezza cibernetica realizzato in collaborazione con Leonardo.

Wheeler, Visiting fellow alla Brookings Institution, è un’istituzione nel mondo delle telecomunicazioni a stelle e strisce. Nato come lobbista e imprenditore, nel 2013 è stato nominato a capo della Fcc, la potente autorità indipendente preposta al controllo e alla regolamentazione delle telco americane, compresa buona parte delle frequenze radio del Paese.

La Fcc, ora presieduta da Ajit Pai, è in prima linea nella sfida che l’amministrazione Trump ha lanciato a Huawei, Zte e alle altre aziende cinesi leader del settore accusate di spionaggio industriale e considerate un’estensione del Partito comunista cinese. La battaglia per la costruzione e la gestione della banda ultralarga, che il governo americano e la Fcc vorrebbero cedere ai grandi player europei come le scandinave Nokia ed Ericsson, le uniche oggi in grado di competere con i campioni cinesi, è entrata questo giovedì nelle aule di tribunale. Huawei l’ha citata in giudizio ritenendo di aver subito una discriminazione dall’agenzia. La notizia non ha sorpreso gli addetti ai lavori. A Washington DC era attesa, dopo che la commissione ha invitato i provider americani nelle aree rurali a disinstallare la tecnologia cinese considerata un rischio per la sicurezza delle comunicazioni.

“Il problema non è questo – spiega Wheeler a Formiche.net – il problema è che Huawei offre servizi a basso costo e c’è chi mette a rischio la sicurezza per guadagnare qualcosa in più”. È una tentazione, questa, che si fa strada anche in Europa, dove i Paesi membri Ue, fatte salve le dichiarazioni di principio, non hanno ancora concordato l’ombra di un approccio comune, Italia compresa.

“Mi auguro che l’Europa arrivi presto a una decisione collettiva”, dice il guru delle telco made in Usa. La campagna diplomatica del Dipartimento di Stato americano, ammette, “finora non è stata efficace, avrei voluto osservare maggior leadership degli Stati Uniti di fronte agli alleati europei”. Né il decreto con cui Donald Trump ha vietato alle compagnie statunitensi di fare affari con Huawei lo scorso maggio, aggiunge, ha finora sortito gli effetti sperati: “Il presidente ha fluttuato di continuo, prima ha detto ‘siete dentro’, poi ‘siete fuori’, abbiamo bisogno di fermezza”.

Una messa al bando tout court, facciamo notare a Wheeler, potrebbe suonare come discriminatoria verso un’azienda che, sulla carta, è privata e sostiene di non comportare rischi per la sicurezza. “Sono pienamente d’accordo con la decisione della Fcc e vi assicuro che di rado supporto una decisione di un’agenzia sotto l’amministrazione Trump – risponde lui – la sospensione dei ‘fondi universali di servizio’, cioè dei fondi pubblici progettati per portare i servizi delle telecomunicazioni nelle aree ‘ad alto costo’, soprattutto quelle rurali, rientra pienamente nelle facoltà dell’agenzia. Come dice il proverbio, chi ha l’oro decide le regole”.

Il trade-off convenienza-sicurezza è all’ordine del giorno per tutti i provider della rete sparsi nell’America profonda, quella degli Stati rurali dove i fornitori sono pochi e la competizione è ridotta all’osso. In queste zone la cinese Huawei si è conquistata un’importante fetta di mercato, che ora corre il rischio di veder sfumare per le direttive della Casa Bianca.

“Da anni ci poniamo questo problema – spiega Wheeler – quando l’amministrazione Obama segnalò i rischi per la sicurezza cibernetica legati all’adozione di equipaggiamento Huawei tutte le grandi aziende e buona parte di quelle piccole si sono adeguate impegnandosi a non acquistarlo più”. Non proprio tutte. “Sono rimasto enormemente deluso a vedere che una manciata di piccoli operatori wireless avevano gettato nella spazzatura i moniti del governo per fare soldi a buon mercato. Un’azione irresponsabile, sapevano a cosa andavano incontro”.

Perché, insistiamo, non rendere pubbliche le prove dello spionaggio di cui è accusata Huawei? “C’è più di un buon motivo per non farlo – risponde l’ex numero uno della Fcc – nel momento in cui le porti alla luce metti a repentaglio informazioni di intelligence sensibili e offri al diretto interessato una via di uscita”. Quella contro Huawei, insomma, non è solo una battaglia politica. “Oggi non è facile installare trapdoors e backdoors e passare inosservati, ma nel prossimo futuro potrebbero inserirle nei download dei software. È un tema di sicurezza nazionale di cui dovremmo tutti occuparci, prima che sia tardi”.

Così abbiamo arginato Huawei. Tom Wheeler racconta il modello Usa

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