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La questione è molto semplice: l’Unione Europea ha un disperato bisogno di energia, quindi gas e petrolio, e deve importarne molta. Per tutti gli anni ’90 e buona parte dei 2000 l’Ue ha seguito l’orientamento espresso dagli Usa, che sostanzialmente puntava sui paesi dell’Asia centrale, grandi produttori, come fonte alternativa alla Russia che – insieme alla Cina – veniva classificata come concorrente geopolitico.

Molti l’avranno dimenticato, ma furono gli Usa, nel 1999, a varare il Silk road strategy Act. La memoria della via della seta, quattordici anni prima della Cina, diventava lo strumento di un disegno politico che aveva il fine di garantire assistenza umanitaria ed economica ai paesi del Sud del Caucaso e dell’Asia centrale, prevedendo anche “assistenza nello sviluppo delle infrastrutture necessarie per la comunicazione, i trasporti, l’istruzione, la salute e il commercio energetico sull’asse Oriente-Occidente”.

In questa temperie nacque l’idea dell’amministrazione Clinton di utilizzare le rotte energetiche come strumento politico, e quindi innanzitutto per diminuire l’influenza della Russia nella zona centroasiatica. La prima opera ad andare in questa direzione fu l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, divenuto operativo nel 2006. L’infrastruttura collega il petrolio Kazako, Azero e Turkemeno da Baku fino al porto turco sul Mediterraneo di Ceyhan, attraverso la Georgia, rappresentando la prima rotta alternativa che collegava la regione al mercato europeo. Che d’altronde è un po’ lo scopo del gioco.

Sempre negli anni ’90 l’amministrazione Clinton sponsorizzò la costruzione di un’altra arteria energetica destinata a portare il gas Turkmeno in Europa, che però ebbe meno fortuna: la Trans-Caspian gas pipeline.

Il terzo progetto promosso dagli Usa fu la Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India (TAPI) pipeline.

Stavolta scopo dell’iniziativa non era servire l’Europa, ma l’India, notoriamente affamata di energia (come d’altronde la Cina), e legata molto saldamente alla Russia. Si ricorda la visita di Hillary Clinton in India nel luglio 2011, quando fu nuovamente scomodata la visione della “New silk road” per definire la strategia Usa nei confronti del centro Asia, ancora due prima che il “marchio” venisse ufficialmente (e definitivamente) adottato dai cinesi, col famoso discorso del presidente Xi del 2013.

La visione Usa era leggermente diversa da quella cinese, visto che puntava sullo sviluppo dell’Afghanistan  – con ciò fallendo clamorosamente – come anello di congiunzione fra Asia centrale e Asia del Sud. Ma forse il fallimento Usa ha più a che fare con la mancanza di sensibilità storica, oltre che con il fatto che gli americani non avevano (e non hanno) alcuna intenzione di investire massicciamente sulle infrastrutture asiatiche come hanno dimostrato di voler fare più tardi i cinesi.

Ma a parte gli esiti, il disegno Usa era chiaro e ancora ai nostri giorni fa vedere i suoi effetti. E tuttavia sono di molto mutati i presupposti. A parte la dipendenza energetica dell’Europa, che rimane e semmai si approfondisce, gli Usa sembrano sempre più lontani dal Grande Gioco – malgrado la recente visita di Mike Pompeo nella regione – e anche attori insospettabili, come la Turchia, che ormai è divenuta terminale strategico per molte rotte energetiche, sembrano aver preso nuovi orientamenti.

L’Ue, non a caso, ha deciso di puntare sul Southern Gas corridor, che collega il Caspio all’Italia, passando dal Sud dell’Europa. Di recente è stato inaugurata una porzione di questo gasdotto – il TANAP – ed entro l’anno dovrebbe diventare operativo anche il TAP, che arriva fino in Italia.

E così facendo raggiunge l’obiettivo della diversificazione energetica appoggiandosi a paesi che in teoria sono indipendenti dalla Russia e che però – inevitabilmente – coltivano loro disegni strategici. E al tempo stesso vengono promossi altri progetti, come il Nord stream 2, che urtano non poco la sensibilità Usa, visto che in pratica collegano maggiormente l’Ue alla Russia. Al punto che il progetto è finito nel mirino delle sanzioni Usa.

Tutto ciò lascia intuire che se è ovvio che tutte le strade del gas – come peraltro del greggio – finiscano per portare nell’Ue, è altrettanto ovvio che il declinare dell’influenza americana nel continente ha lasciato l’Europa più sola. E questo spiega certe idee che già da tempo circolavano a Bruxelles, come quella di iniziare a pagare in euro le forniture energetiche.

Se le rotte energetiche legano inevitabilmente l’Ue alla Russia e al centro Asia diventa sempre più difficile, in un mondo dove l’energia fossile è ancora vitale, svincolarsi dall’abbraccio “politico” dei propri fornitori. L’America forse l’ha dimenticato. L’Europa no.

Il connubio energetico fra Europa e Asia

La questione è molto semplice: l’Unione Europea ha un disperato bisogno di energia, quindi gas e petrolio, e deve importarne molta. Per tutti gli anni ’90 e buona parte dei 2000 l’Ue ha seguito l’orientamento espresso dagli Usa, che sostanzialmente puntava sui paesi dell’Asia centrale, grandi produttori, come fonte alternativa alla Russia che – insieme alla Cina – veniva classificata…

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