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La sfida per la Casa Bianca il 3 novembre sarà tra Donald Trump e Joe Biden: c’erano pochi dubbi; ora, con il ritiro dalla corsa alla nomination democratica di Bernie Sanders, è quasi una certezza – dove il “quasi” sta nell’imponderabile della cronaca più che nei colpi di coda della politica. Intanto, gli Stati Uniti restano tramortiti dall’avanzare del contagio: di nuovo duemila morti in un giorno, peggio di una Katrina quotidiana – l’uragano che nel 2005 fece 1826 vittime.

Se non ci fosse stato il virus, la corsa di Sanders sarebbe andata avanti più a lungo: “Nonno Bernie” faceva campagna non tanto per ottenere la nomination, ché forse non ci credeva più neppure lui, ma per portare avanti le sue idee e riuscire a piazzarne qualcuna nei programmi elettorali di un partito più attento ad apparire moderato che di sinistra.

Con il virus, la campagna come l’intende Sanders, comizi e incontri con la gente, è praticamente finita: la stagione delle primarie è “congelata” fino a maggio – e se si vota, come avvenuto martedì nel Wisconsin, per ordine dei giudici, si deve poi attendere una settimana per conoscere i risultati -; quanto alla convention di Milwaukee è slittata da luglio ad agosto e potrebbe divenire virtuale.

Il ritiro di Sanders, che l’8 settembre avrà 79 anni, è un addio probabilmente definitivo al sogno della Casa Bianca. Nel 2024, “Nonno Bernie” avrà 83 anni e forse non avrà più l’energia e la voglia per riprovarci, dopo avere spaventato per due volte l’establishment democratico: nel 2016, quando contese la nomination a Hillary Clinton fino alla convention – e senza i super-delegati la corsa sarebbe stata molto più incerta -; e quest’anno, quando a febbraio infilò un filotto di successi che ne fecero il battistrada, salvo poi finire nella “trappola dei moderati” preparatagli da Barack Obama.

Non appena Joe Biden dimostrò, vincendo in South Carolina, la vitalità della sua candidatura, tutti gli altri candidati centristi, l’uno dopo l’altro, nel giro di pochi giorni, si ritirarono dalla corsa facendo convergere i loro voti sull’ex vice-presidente. Nei cui confronti il senatore del Vermont ha sempre avuto meno animosità che verso la Clinton nel 2016.

Il ritiro di Sanders – scrive il New York Times, che, come il Washington Post, non ha mai “tifato” per lui — “conclude una corsa alla Casa Bianca iniziatasi cinque anni or sono, quando il senatore era semi-sconosciuto all’opinione pubblica nazionale, e che ne ha fatto il campione dei lavoratori, l’alfiere dell’America “liberal” e il leader di una rivoluzione politica da lui proposta, all’insegna d’un socialismo prima di lui impensabile negli Stati Uniti. Ma che, nel contempo, non ha mai fatto diventare il suo movimento maggioranza nella galassia democratica.

Biden saluta nel segno dell’unità del partito la decisione di Sanders: “Insieme batteremo Trump”; e promette d’ascoltare la voce del senatore e dei suoi perché “il tuo movimento è un bene per il Paese e per il futuro”.

Prima che Sanders parlasse e che Biden reagisse, Trump aveva twittato: il magnate presidente, che recitava il ruolo di paladino del senatore contro l’establishment del partito, scrive che “i suoi dovrebbero venire nel partito repubblicano”, “Sanders è fuori per colpa di Elizabeth Warren… Se non fosse stato per lei, Bernie avrebbe vinto quasi ogni Stato nel Super Martedì (dati alla mano, l’affermazione è falsa, ndr). È finita proprio come il partito democratico voleva”.

Trump poi ironizza sul sostegno che i “sanderisti” daranno ora a Biden: “Me le vedo Alexandria Ocasio-Cortez e le sue deputate di ‘The Squad’ sostenere ‘Sleepy Joe’”. E cerca di mettere zizzania nel campo rivale: si stupisce che Obama non abbia ancora dato a Biden un endorsement formale, forse “sa qualcosa che i media non sanno”. Secondo tv e giornali, l’ex presidente ha di recente parlato con il senatore: una conferma del pressing esercitato dall’establishment democratico perché Sanders lasciasse la corsa alla Casa Bianca bloccata dall’epidemia.

Che non s’arresta: i morti per coronavirus negli Usa superano i 14 mila e viaggiano verso i 15 mila; i casi superano i 420 mila. La Johns Hopkins University calcola che i decessi sono stati quasi 2000 per il secondo giorno consecutivo: 1973 mercoledì, dopo i 1939 di martedì, il ritmo è raddoppiato da mille a duemila al giorno.

Oggi, secondo un sondaggio della CNN, solo il 41% degli americani pensa che la risposta di Trump al contagio sia stata giusta, mentre il 55% ritiene che il presidente ha fatto un “pessimo lavoro”. E un altro rilevamento mostra che gli americani sarebbero più tranquilli se l’emergenza fosse gestita da Obama, che in queste ore chiede una strategia nazionale anti-virus, piuttosto che da Trump o anche da Biden.

Usa2020

Sanders lascia Usa2020 (e Trump corteggia i suoi supporters)

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