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Tra i ringraziamenti per la missione contro il leader dello Stato islamico, Abu Bakr al Baghdadi, il presidente americano Donald Trump ha esplicitamente citato il regime siriano. Un passaggio che ci mette davanti a una questione de facto: dialogare con Damasco.

La parziale e prudente apertura dei giorni scorsi del Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, rispetto alla possibilità di parlare o meno con Bashar al Assad, è certamente una valutazione che tiene in considerazione l’evoluzione dello scenario siriano. Se si considera la preoccupante situazione della provincia di Idlib, dove si sono concentrate diverse milizie jihadiste riconducibili ad Al Qaeda e il recente accordo tra Turchia e Russia sulla messa in sicurezza del confine nord orientale con la Turchia, successivo alle operazioni di Ankara contro le milizie curde dell’YPG, il campo di battaglia siriano va assumendo una semplificazione. Damasco infatti, ad eccezione di queste aree e della presenza militare Usa ancora presente nel paese, è riuscita, con l’ausilio di russi, iraniani ed Hezbollah, a riconquistare buon parte delle aree sottratte dalle varie forze ribelli al controllo governativo.

Questo trend già delineatosi sin dal dicembre 2018, con la riapertura di alcune sedi diplomatiche a Damasco, sembra poter anticipare la fase di normalizzazione e ricostruzione del paese dove, al ruolo di primo piano che potranno avere i maggiori alleati di Assad, Russia e Iran su tutti, se ne potrebbero aggiungere altri quali Cina, monarchie del Golfo e paesi europei. Non può pertanto sfuggire che la ricostruzione della Siria, a fronte delle proteste, seppur diverse tra loro, che stanno attraversando l’Iraq e il Libano, andrà a rappresentare un test dei nuovi equilibri regionali. Dinamiche sancite da un lato dal terzetto di paesi protagonisti del format di Astana, Russia Turchia e Iran e, dall’altro dagli Stati Uniti, ancora presenti in Siria nonostante gli annunci del presidente Trump, e da Israele (che guarda ai futuri equilibri siriani in ottica di contenimento dell’Iran e negli Hezbollah).

La riattivazione di un canale di dialogo con Damasco, contestualizzata in un atteggiamento complessivo ed europeo, può, come evidenziato anche dall’On. Matteo Perego (Forza Italia) della commissione Difesa, essere funzionale nell’ottica di favorire il ritorno dei più di 5 milioni di profughi siriani sparpagliati tra Libano, Turchia, Iraq e Giordania e consentire all’Italia e all’Europa di partecipare alla ricostruzione del paese (stimata in più di 600 miliardi di dollari).

Non si esclude inoltre che il dialogo con Damasco possa rappresentare un passaggio chiave nell’ottica di controllo degli ex combattenti dell’ISIS, con l’auspicio, relativamente a questa sfida senza precedenti, che i paesi europei decidano come agire, possibilmente in modo unitario, nei riguardi dei propri connazionali.

Perché si va verso il dialogo con Assad. Il commento di Bressan (Lumsa)

Tra i ringraziamenti per la missione contro il leader dello Stato islamico, Abu Bakr al Baghdadi, il presidente americano Donald Trump ha esplicitamente citato il regime siriano. Un passaggio che ci mette davanti a una questione de facto: dialogare con Damasco. La parziale e prudente apertura dei giorni scorsi del Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, rispetto alla possibilità di parlare…

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