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In un mondo sempre più dominato dalla competizione tecnologica, l’India si è lanciata in una corsa senza precedenti per affermarsi come potenza nel settore dei semiconduttori. Con un piano industriale da oltre 10 miliardi di dollari, approvato nel dicembre 2021, New Delhi intende ridurre la propria dipendenza dalle importazioni e diventare un attore strategico nella catena globale di produzione dei chip. La posta in gioco è alta: si tratta non solo di una questione economica, ma di sicurezza nazionale, autonomia strategica e posizionamento geopolitico.

Il mercato indiano dei semiconduttori, valutato 38 miliardi di dollari nel 2023, potrebbe triplicare e raggiungere quota 109 miliardi entro il 2030. Smartphone, automobili elettriche, infrastrutture digitali, dispositivi medici e applicazioni militari sono solo alcuni dei settori trainanti. Ma dietro a questa crescita c’è un vuoto infrastrutturale evidente: l’India, finora, ha importato oltre il 90% dei chip che consuma. Da qui la necessità urgente di sviluppare una filiera domestica robusta e resiliente.

Il governo guidato da Narendra Modi ha risposto con un’azione senza precedenti. È nata l’India Semiconductor Mission (Ism), una struttura dedicata alla gestione e all’implementazione dei progetti nel settore. Sono già sei le fabbriche approvate ufficialmente, tra cui quella di Hcl-Foxconn, situata nel distretto di Noida vicino all’aeroporto internazionale di Jewar. Questo impianto, finanziato con 433 milioni di dollari, si concentrerà sulla produzione di chip per display destinati a telefoni, computer e veicoli.

Ma è in Gujarat che si sta giocando la partita più ambiziosa. Tata Electronics, in collaborazione con la taiwanese Psmc, ha avviato la costruzione di una mega-fabbrica a Dholera, con un investimento previsto di oltre 11 miliardi di dollari. La produzione dovrebbe partire nel 2026, con una capacità mensile di 50.000 wafer. A Sanand, sempre in Gujarat, si stanno moltiplicando i progetti: Micron Technology realizzerà un impianto Atmp su 40 ettari, mentre Renesas, in collaborazione con il gruppo Murugappa, avvierà un centro Osat (Outsourced Semiconductor Assembly and Test). Anche in Assam, Noida e Odisha si stanno preparando nuove strutture per soddisfare la domanda interna e posizionarsi come partner affidabili per l’export.

Per attrarre capitali, l’India ha messo sul piatto un pacchetto di incentivi tra i più generosi al mondo. Il governo centrale copre fino al 50% dei costi dei progetti, mentre gli Stati federati possono aggiungere ulteriori sconti tra il 10 e il 25%. Sono previsti anche bonus specifici per la progettazione di chip, attraverso il Design Linked Incentive Scheme (Dli), che sostiene startup e università impegnate nello sviluppo di proprietà intellettuali nazionali. A oggi, 12 aziende hanno già ricevuto fondi e altre 21 sono in fase di valutazione.

Ma New Delhi guarda ancora più lontano. Sta investendo nella ricerca sui materiali bidimensionali, come il grafene e i dicalcogenuri dei metalli di transizione, destinati a superare le attuali limitazioni della tecnologia al silicio. Il ministero dell’Elettronica ha annunciato l’imminente pubblicazione di una call rivolta a università e aziende per creare poli di ricerca e linee pilota. L’obiettivo è inserirsi fin da subito nella corsa globale a questi materiali, dove nessun Paese ha ancora raggiunto la produzione su scala industriale.

Sul piano diplomatico, l’India ha firmato accordi con Stati Uniti, Giappone ed Unione Europea per consolidare la cooperazione su ricerca, design, formazione e scambi tecnologici. Il protocollo d’intesa con Bruxelles prevede la creazione di una catena di fornitura condivisa e resiliente, oltre allo sviluppo di standard comuni. Con il Giappone, l’India lavora invece alla formazione di tecnici specializzati e alla condivisione di competenze nel settore delle apparecchiature per la litografia. Gli Stati Uniti, tramite il Chips Act, hanno già avviato un’analisi congiunta delle infrastrutture indiane per orientare nuovi investimenti.

Dietro questa strategia industriale si nasconde una necessità urgente: quella di ridurre i colli di bottiglia nelle catene globali di approvvigionamento. La pandemia e le tensioni tra Washington e Pechino hanno dimostrato quanto sia rischioso affidarsi a un numero ristretto di fornitori. Taiwan e Corea del Sud, leader mondiali del settore, rappresentano oggi nodi critici che un’eventuale crisi militare potrebbe paralizzare. L’India, forte della sua stabilità politica, della disponibilità di manodopera qualificata e della crescente capacità industriale, si propone come alternativa credibile.

In questo scenario, l’Italia può giocare un ruolo tutt’altro che marginale. Le imprese italiane attive nella meccatronica, nella robotica, nella microelettronica e nella produzione di apparecchiature di precisione potrebbero trovare in India un mercato in forte espansione e una base industriale compatibile. Non solo. Università e centri di ricerca italiani, in particolare nel nord del Paese, possono stabilire collaborazioni con i poli indiani per sviluppare proprietà intellettuali comuni e scambi di competenze. L’India offre anche un contesto favorevole per le PMI italiane che vogliono internazionalizzarsi in un ambiente dinamico e sostenuto da politiche pubbliche fortemente incentivanti.

L’India non diventerà una nuova Taiwan nel giro di pochi anni. Ma ha imboccato una strada irreversibile. Se il piano sarà attuato con coerenza, il subcontinente potrà emergere come uno dei nuovi poli della microelettronica globale. Per l’Italia, oggi è il momento di stringere nuove alleanze e di essere presente in una delle sfide industriali più decisive del decennio.

L’India vuole il suo spazio nel mondo dei semiconduttori. Ecco come

L’India punta a diventare un attore strategico nel settore globale dei semiconduttori con un piano industriale da oltre 10 miliardi di dollari e incentivi generosi. Obiettivo: ridurre la dipendenza dalle importazioni e rafforzare la propria autonomia tecnologica. Sono in costruzione diverse fabbriche, tra cui quelle di Tata, Foxconn e Micron, con forti investimenti in ricerca avanzata e partnership internazionali

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