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Durante la sua visita a Washington DC, Giorgia Meloni ha affermato che, entro il 2025, l’Italia raggiungerà l’obiettivo Nato del 2% del Pil investito nella Difesa, così come richiesto dall’alleato statunitense. Nel frattempo, in Italia, si discute di come raggiungere tale obiettivo in così poco tempo, tra ipotesi di modifiche alla metodologia con cui si calcolano le spese militari e posizioni apparentemente sempre più contrapposte tra chi spende (il ministero della Difesa) e chi mette mano alla scarsella (il ministero delle Finanze). Per fare il punto su tutto questo, Formiche.net ne ha parlato con il professor Michele Nones, vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai).

Professore, in questi mesi la linea dell’Italia è sempre stata quella di prevenire una rottura del legame tra Europa e Stati Uniti. Ritiene che la visita del presidente del Consiglio a Washington sia riuscita in questa missione? 

Innanzitutto, ad oggi non possiamo prescindere dal fatto che negli ultimi due mesi noi europei siamo stati sottoposti a quotidiane docce fredde da parte degli Stati Uniti. Tuttavia, ritengo che si debba riconoscere al nostro presidente del Consiglio un  successo non scontato nell’evitare ulteriori aggravamenti nel quadro dei rapporti transatlantici. Se potessimo valutare solo quello che è successo ieri  — e non quello che è successo nei due mesi precedenti — onestamente sarei moderatamente ottimista.

Pensando al summit Nato di giugno (in cui ci si aspetta che più di un nodo verrà al pettine), cosa possiamo aspettarci alla luce di questo incontro Trump-Meloni?

Al momento è difficile dirlo, perché c’è una variabile che non dipende né dalla buona volontà né dalle capacità del nostro presidente del Consiglio. Ed è l’inaffidabilità delle scelte americane. Non so se questa sera, guardando i notiziari, sentiremo qualche dichiarazione del presidente americano che accusa nuovamente l’Europa di essere una banda di ladroni e la Nato un pozzo senza fondo di sprechi. Non saprei dire con esattezza cosa ci possiamo aspettare da qua a giugno. Tutti dovrebbero sperare  che, al vertice della Nato, il nostro presidente del Consiglio possa ottenere la conferma  dell’auspicio espresso ieri alla Casa Bianca, ovvero un rafforzamento dell’Occidente. 

A Washington, Meloni ha dichiarato che l’Italia raggiungerà l’obiettivo del 2% già entro il 2025. Come?

L’annuncio ufficiale dovrebbe arrivare proprio al vertice della Nato di giugno. Tuttavia, non è chiaro cosa vuole dire che arriviamo al 2% nel 2025. Da alcune informazioni che sono circolate, sembra che questo risultato sarà raggiunto in gran parte attraverso una ricontabilizzazione delle nostre spese per la Difesa. 

Si riferisce all’ipotesi di conteggiare nel computo delle spese per la Difesa anche una serie di voci (Carabinieri, Guardia costiera, Guardia di Finanza, sicurezza cibernetica, infrastrutture del Mit, ecc) che finora non erano state considerate come tali? 

Esattamente. Vorrei ricordare che a, suo tempo, il governo Conte I, con il ministro Trenta, tentò di fare questo gioco delle tre carte e ci fu una alzata di scudi da parte di tutti gli altri Paesi Alleati. Anche perché se l’asticella viene alzata (in questo caso abbassata), allora vale per tutti. Quindi il differenziale tra l’Italia e gli altri Paesi risulterebbe uguale e ci ritroveremmo al punto di partenza.

In che modo potrebbero essere ricomprese queste voci di spesa?

Evidentemente bisognerebbe dimostrare che quella parte di spese destinate all’addestramento, all’equipaggiamento e all’impiego di questi Corpi armati dello Stato è stata condotta “as military”, ovvero come se fossero militari. Noi abbiamo sempre considerato un’aliquota delle spese dei Carabinieri — che sono prevalentemente destinati invece a svolgere compiti di sicurezza interna — nel bilancio della Difesa. Questo perché effettivamente un’aliquota dei nostri carabinieri (circa il 10%) è impiegata all’estero. Ma da qui a giustificare l’intero budget dei Corpi armati dello Stato come spese per la Difesa, ce ne vuole. 

Ritiene che la Nato accetterebbe questa modalità di conteggio? 

No, non mi sembra possibile. Non mi risulta che tale metodo sia stato modificato in ambito Nato, così come non mi risulta che sia mai stata seriamente discussa  l’ipotesi di un cambiamento della metodologia di calcolo delle spese per la difesa. Inoltre, vorrei che si riflettesse un attimo sulle conseguenze di questa impostazione. Se passasse questa linea, dovremmo ammettere che finora abbiamo sbagliato a fare i conti. Si tratterebbe di  ammettere una clamorosa omissione, che coinvolgerebbe tutti i governi della Repubblica, incluso quello attuale. La mia stima nei confronti delle Forze armate e del ministero della Difesa è troppo alta per pensare che finora non abbiano considerato delle spese per la Difesa che andavano considerate come tali. 

La questione sta provocando dissapori in seno al governo, con il ministro Crosetto che sostiene la necessità di aumentare gli investimenti reali invece che puntare su una modifica delle modalità di conteggio. Dal Mef, invece, il ministro Giorgetti sostiene di voler visionare i capitoli di spesa prima di approvarli. Che ne pensa?

Mi pare che, al momento, all’interno del governo non ci sia la necessaria chiarezza. Oserei definire preoccupanti le dichiarazioni del ministro Giorgetti. Le sedi opportune per fare queste valutazioni esistono già. Il ministero della Difesa è un ministero responsabile e il ministro della Difesa è un ministro responsabile. Se loro, che hanno le informazioni necessarie, dicono che queste sono le spese che devono essere fatte, non è che possiamo metterci a far discutere i tecnici del Mef sul merito delle scelte. Per quanto riguarda i motivi per cui queste spese vanno condotte, la risposta è semplice. Vanno fatte perché va garantita una maggiore sicurezza e difesa del nostro Paese.

Che ne pensa del dibattito che vede contrapposte le spese per la Difesa alle spese per il welfare? Ci troviamo in uno scenario da “ burro o cannoni”? 

Assolutamente no. Aumentare le spese per la Difesa non significa automaticamente tagliare la spesa sociale. Posto che, se si vuole aumentare la spesa senza ricorrere a fare ulteriore debito o nuove imposte, i fondi vanno ricavati altrove, più che di burro io parlerei di sprechi che vanno individuati. Perché i costi della nostra burocrazia, i costi del nostro sistema politico, sono assolutamente spropositati rispetto ai risultati e rispetto alle condizioni del Paese. Inoltre, secondo me è il caso di parlare anche di priorità. In particolare, penso a determinate opere infrastrutturali che sicuramente possono essere utili e vantaggiose, ma che — siccome stiamo parlando di priorità — non possono certo essere presentate come prioritarie rispetto alle esigenze della Difesa. Come dicevano i latini: “Primum vivere, deinde cogitare”.

Come arriveremo al 2% del Pil nella Difesa. I dubbi di Nones

Durante la visita a Washington, Giorgia Meloni ha rilanciato l’impegno dell’Italia a raggiungere il 2% del Pil per la Difesa entro il 2025. Una promessa che agita il dibattito interno, tra ipotesi di ricalcolo e tensioni tra i ministeri coinvolti. Formiche.net ne ha parlato con Michele Nones, vice presidente dello Iai, che chiarisce i limiti di una strategia contabile rischiosa e le vere priorità da affrontare in vista del vertice Nato di giugno

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