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Nella dimensione della potenza militare le due grandi dinamiche, opposte e correlate tra di loro, con cui si può guardare ad una forza armata sono quelle della qualità e della quantità. Nell’alternarsi delle varie fasi storiche, ognuna delle quali ha visto la conduzione di specifici conflitti tra avversari con strutture militari differenti sia sul punto di vista qualitativo che su quello quantitativo, si è spesso alternata la predominanza di una dinamica sull’altra. Tuttavia, sarebbe errato guardare a queste due dinamiche con dualismo manicheo: anziché concentrarsi sul bianco e sul nero, si deve guardare all’ampio spettro di grigi esistente tra una dirimente superiorità tecnologica e la pura forza dei numeri.

Durante il cosiddetto “momento unipolare” americano, seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica e alla fine della Guerra Fredda, la struttura delle forze armate degli Stati Uniti si è spostata sempre di più verso il polo qualitativo del sopraccitato spettro. A questo spostamento hanno contribuito diversi fattori, dal venir meno di un avversario capace di sfidare Washington sul piano “convenzionale” della guerra ad alta intensità, al proliferare di minacce asimmetriche, a una sempre più forte diffusione nel mondo occidentale di quella che Edward Luttwak ha definito “cultura post-eroica”, caratterizzata da una bassissima tolleranza verso le perdite umane registrate durante la conduzione di operazioni militari, a tanti altri ancora. Oggi però, la situazione sembra essere diversa.

Il momento unipolare degli Stati Uniti sembra infatti essere sempre meno unipolare. E il principale fautore di questa trasformazione è, ovviamente, la Repubblica Popolare Cinese, che dopo aver sfidato economicamente la superpotenza americana, adesso la sfida anche sul piano strategico. Negli ultimi anni l’apparato militare-industriale di Pechino ha registrato progressi enormi e, soprattutto, trasversali alla linea di suddivisione tra qualità e quantità. Seth G. Jones, presidente del Defense and Security Department del Center for Strategic and International Studies, offre una fotografia ottimale della situazione all’interno dell’articolo a sua firma, riadattamento di un report del Csis di cui è Jones è coautore, pubblicato da Foreign Affairs.

Da un contesto di marcata arretratezza tecnologica rispetto agli Stati Uniti, la Repubblica Popolare è riuscita con successo a ridurre nettamente il gap qualitativo he separava la People’s Liberation Army dalle forze armate di Washington, schierando sistemi d’arma sempre più sofisticati e arrivando addirittura a superare le capacità statunitensi in alcuni specifici settori, come ad esempio quello dei missili ipersonici.

Sul piano quantitativo si può notare una tendenza simile. Nel settore navale la flotta Cinese ha raggiunto la superiorità numerica (ma non quella di efficacia generale) rispetto agli Stati Uniti, con i suoi cantieri navali che non solo sono tendenzialmente molto più grandi di quelli statunitensi, ma che vengono anche usati in modo dual-use per la costruzione di vascelli e civili e militari. Sulla produzione di caccia di quarta o quinta generazione, gli Stati Uniti vantano ancora la superiorità produttiva, ma anche qui la Cina ha ridotto sempre di più il margine di differenza. In più, c’è l’aspetto uncrewed, la cui importanza è stata stressata dall’attuale conflitto in Ucraina e dai suoi alti tassi d’attrito: la capacità di mantenere alta la produzione di droni, e in particolare di loitering munitions, è fondamentale per poter reggere gli alti tassi d’attrito registrati per questi sistemi.

Certo, l’apparato militare-industriale cinese è tutt’altro che perfetto. Alle più generali difficoltà che caratterizzano in questo momento l’economia di Pechino, dall’elevata disoccupazione giovanile al mercato immobiliare in difficoltà, e dall’aumento del debito pubblico all’invecchiamento della società e a una crescita inferiore alle aspettative, si aggiungono debolezze specifiche del comparto militare. “La base industriale della difesa cinese non è priva di problemi. Si basa su massicce imprese statali con strutture organizzative contorte e tentacolari che minano l’efficienza, la concorrenza e l’innovazione. È anche afflitta da una notevole corruzione; alla fine dello scorso anno, Pechino ha rimosso tre funzionari dell’industria della difesa di alto livello in un’epurazione apparentemente legata alla corruzione nel processo di valutazione delle offerte. La Cina è anche alle prese con alcune vulnerabilità della catena di approvvigionamento, in particolare per quanto riguarda i motori, i chip di fascia alta, i circuiti integrati e le attrezzature di produzione. L’affondamento di un sottomarino cinese a propulsione nucleare presso il cantiere navale di Wuchang all’inizio di quest’anno suggerisce che la Cina ha ancora molta strada da fare nella produzione di alcuni sistemi complessi. Anche se l’esercito cinese è grande e ben equipaggiato, non ha avuto alcuna esperienza di combattimento importante dalla guerra sino-vietnamita del 1979” nota lo stesso Jones nel suo articolo.

Ma queste sfide non hanno impedito alla base industriale cinese di registrare i progressi descritti nelle righe precedenti. Ed è necessario che gli Stati Uniti reagiscano, per adattare la propria industria alle nuove, emergenti necessità, e a mantenere la propria superiorità rispetto a Pechino. Nel suo articolo, l’esperto del Csis fornisce alcuni spunti, a partire dal riconoscere l’urgenza del problema e la conseguente portata della soluzione. Sul piano tecnico, Jones suggerisce un’iniziativa presidenziale per rivitalizzare la base industriale della difesa, secondo un modello già sperimentato in passato dagli Stati Uniti, stressando al contempo il bisogno di sviluppare un processo di contrattazione e acquisizione più rapido, più flessibile e meno avverso ai rischi.

E ancora, finanziamenti ad appalti pluriennali per la produzione di munizioni chiave; incentivi finanziari alle aziende del settore della difesa per l’aggiornamento e la riqualificazione dei lavoratori; investimenti nelle scuole superiori, nelle scuole professionali, nelle università e in altre istituzioni che si occupano della formazione e dell’addestramento di persone per i lavori della base industriale della difesa; rivitalizzare il settore navale con sovvenzioni capaci di stimolare gli investimenti nei cantieri navali commerciali del Paese, modernizzare ed espandere l’industria e sviluppare una forza lavoro più capace e competitiva in questo settore. Il punto di riferimento è l’arsenal of democracy voluto da Franklin Delano Roosevelt. Anche perché le nubi di oggi sono, per molti versi, simili a quelle degli anni ’30.

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