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La Turchia ci riprova e inizia a mettere anche le mani avanti: il sistema missilistico di difesa S-400 non è incompatibile con le strumentazioni e il materiale Nato, in particolare gli F-35, i caccia da guerra di ultima generazione statunitense. Lo ha detto a Davos il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu davanti alla platea di Davos, ribadendo anche la disponibilità della Turchia a organizzare un gruppo di lavoro per studiare tutte le possibili criticità.

“L’affermazione è che S-400 e F-35 siano incompatibili. Questa è l’affermazione. E questa è la nostra proposta: istituiamo un gruppo di lavoro che la Nato può guidare e lasciamo gli esperti decidere su questo tema. Noi pensiamo che i due sistemi possano essere compatibili e che non vengano messi a rischio né il sistema Nato né i suoi alleati”.

Un atto di buona volontà, fatto davanti a una platea internazionale di primaria importanza, che dovrebbe condurre a una distensione. Ma attenzione, perché l’insidia è dietro l’angolo.

Il mese scorso, infatti si è diffusa la notizia che la Turchia e la Russia stanno lavorando a un nuovo ordine di missili. A questa si è affiancato anche il rumor che questa potrebbe venire accompagnata anche dall’acquisto, da parte di Ankara dei Sukhoi Su-35, caccia da guerra russi che andrebbero a rimpiazzare gli F-35 americani.

Per convincere il presidente Erdogan a tradire nuovamente la Nato, Vladimir Putin avrebbe messo sul tavolo una proposta pressoché irresistibile per il numero uno di Ankara: una parte degli S-400 verrebbe costruita in Turchia. E questo, è proprio il punto della questione, da cui parte tutta la vicenda del primo acquisto di S-400, che si trascina ormai dal 2017. Erdogan sta cercando di dare vita a un’industria di difesa autoctona, in grado di competere

La versione della Turchia è che la Mezzaluna ha deciso di ricorrere alla fornitura di missili russi perché l’allora amministrazione Obama ha rifiutato di vendere ad Ankara i Patriot. Erdogan però dimentica di ricordare che la Casa Bianca annullò la vendita perché il presidente turco pretendeva che una parte dei missili fosse costruita sul suolo nazionale. Si rivolse così alla Russia, ottenendo uno sconto sull’ordine, ancora oggi non si sa precisamente a quanto ammonti e in che valuta sia stato pagato, ma soprattutto creando una situazione senza precedenti nella Nato. Dove un Paese membro, per la precisione il secondo esercito (numerico), acquistava materiale bellico niente meno che dalla Russia.

Da quel momento, il presidente americano in carica, Donald Trump, ha operato secondo un doppio binario con il bizzoso alleato turco, estromettendo il Paese dal programma F-35 e minacciando sanzioni, da una parte, ma offrendo ad Ankara l’acquisto dei Patriot come seconda fornitura di missili e scaricando tutta la colpa della situazione sull’amministrazione Obama. Che però, viste le mire espansionistiche in politica estera della Turchia ha agito per tutelare gli interessi nazionali e anche per non concedere troppo vantaggio a un Paese che iniziava ad allargare la sua sfera di influenza.

Fra pochi mesi, la Turchia dovrebbe far sapere le sue decisioni riguardo alla seconda fornitura di missili. Il fatto che cerchi una sponda nella Nato può essere interpretato in due modi. O vuole riconquistare la fiducia dell’Alleanza Atlantica, dopo mesi di contrasti, oppure si sta preparando a stringere un nuovo accordo con Mosca e cerca preventivamente di appianare i contrasti.

Ankara cerca la sponda con la Nato, ma strizza ancora l’occhio a Mosca

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