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“Un tentativo aggressivo di espropriazione”. Non è tardata ad arrivare la piccata risposta di Mosca all’ordine esecutivo firmato da Donald Trump per garantire la possibilità di sfruttare commercialmente le risorse della Luna e degli altri corpi celesti. A nemmeno dodici ore dalla firma del presidente americano sul documento, è arrivata la nota di Roscosmos, l’agenzia spaziale russa, condita dalle parole del vice direttore generale Sergey Savelyev. È la conferma di come si stiano intrecciando i due trend dello Spazio del terzo millennio: la commercializzazione e la crescente competizione.

LE PAROLE RUSSE

“Tentativi di espropriare lo spazio extra-atmosferico e piani aggressivi per divider de facto territori di altri pianeti difficilmente riusciranno a incoraggiare altri Paesi a partecipare a fruttuose cooperazioni”, ha detto Savelyev, che dal numero uno di Roscosmos Dmitry Rogozin (fedelissimo di Vladimir Putin) ha la delega alle cooperazioni internazionali. “La storia – ha aggiunto il russo – è piena di esempi di nazioni che hanno deciso che i propri interessi richiedevano la conquista di altri territori; tutti ricordano cosa ne è venuto fuori”. Parole aspre, che sembrano confermare un indurimento dei rapporti extra-atmosferici tra Washington e Mosca, rischiando di far passare la Stazione spaziale internazionale (Iss) come una breve parentesi di cooperazione in una storia fortemente competitiva.

I PIANI DEGLI STATI UNITI

Una risposta dura da parte della Russia era prevedibile. Attraverso l’intenso coinvolgimento degli attori privati, la proposta di Trump ai partner internazionali (qui tutti i dettagli) punta a supportare il rapido ritorno sulla Luna, un remake di ciò che nel 1969 segnò la vittoria statunitense nella corsa allo Spazio durante la Guerra fredda. Non è un caso che il programma Artemis della Nasa sia stato aperto alla cooperazione internazionale con inviti rivolti “a partner e alleati”, un riferimento neanche troppo velato all’ambito della Nato.

LA COMPETIZIONE SPAZIALE

Non è un segreto che sull’esplorazione lunare si giochi la nuova competizione spaziale. Di fronte all’ambizione americana, la Russia appare piuttosto indietro, sostituita nel gioco extra-atmosferico tra potenze dalla Cina. Pechino vanta un programma lunare di tutto rispetto, per molti aspetti piuttosto simile a quello americano, a partire dall’identificazione del punto di allunaggio: il polo sud del satellite naturale. È considerato il luogo strategico per mantenere una presenza stabile, sfruttando le risorse in loco anche per future partenze direttamente dalla Luna. È forse per questo suo ritardo che la Russia si erge ora a protezione dello spazio come “bene comune”, nonostante non figuri (come gli Usa) tra i 18 Paesi che hanno ratificato il Moon Treaty del 1979.

QUELL’ASSE TRA MOSCA E PECHINO

In realtà, Mosca non è esclusa dalla nuova corsa spaziale e pare aver già scelto il cavallo su cui puntare. Lo scorso settembre, dopo il via libera dei vertici politici a San Pietroburgo (dove il premier Dmitry Medvedev ha accolto l’omologo cinese Li Keqiang), Rogozin ha siglato un accordo con il collega cinese (capo della Cnsa) Zhang Keqiang. Il tema dell’intesa? La collaborazione nel campo dell’esplorazione lunare, attraverso un reciproco contributo per la sonda orbitante russa Luna-26 e per la missione cinese Chang’e-7 (proprio quella che prevede l’approdo sul polo sud lunare). Entrambi i programmi erano allora previsti per la prima metà del 2020, preceduti comunque preceduti da un data center condiviso che le due agenzie si sono impegnate a realizzare con hub in entrambi i Paesi.

LA GUIDA DI ROGOZIN

Un accordo a cui hanno probabilmente contribuito i problemi riscontrati da Rogozin con la Nasa. L’approdo al vertice di Roscosmos è avvenuto nella primavera del 2018, voluto direttamente da Putin dopo anni di turbolenze e cambi al comando. Qualche mese dopo, in estate, un buco su un modulo russo della Stazione spaziale internazionale rischiava di creare parecchi problemi all’equipaggio. In quell’occasione, Rogozin si lanciò addirittura in accuse di “sabotaggio” a non meglio identificati avversari. Poi, l’ottobre successivo, la navicella russa Soyuz MS10 ha fallito il suo lancio verso l’Iss, senza fortunatamente creare danni ai tre astronauti a bordo.

LO STRAPPO SPAZIALE

Infine, a inizio dello scorso anno è arrivata una vera e propria crisi diplomatica, quando il capo della Nasa Jim Bridenstine è stato costretto a cancellare l’invito a Rogozin, accogliendo le rimostranze che da più parti dell’establishment Usa erano arrivate per la presenza del russo nella lista delle persone sanzionate dall’amministrazione Obama nel 2014, in seguito alla crisi ucraina. Pace fatta in pochi giorni, ma l’accaduto sembrava già allora il sintomo di distanze ormai allargatesi tra Washington e Mosca anche sul fronte spaziale. Ora, il tema del diritto spaziale rischia di ampliarle ulteriormente, anche perché raggiunge il livello più altro dell’amministrazione americana, il presidente Trump.

LE SCELTE DI MOSCA

L’ordine esecutivo di ieri ha la firma dell’inquilino della Casa Bianca, ma soprattutto il marchio del tycoon che, sin dall’insediamento, ha promosso con forza l’idea della commercializzazione dello Spazio. Dalle basse orbite alla Luna, il passo è tecnicamente breve, tra l’altro in linea con i caratteri propri della New Space Economy, condita dall’ampio coinvolgimento di aziende private con capacità ormai maggiori di molti Stati. Forse per il ritardo tecnologico ormai evidente, forse per semplice spirito di competizione, Mosca ha ora deciso di ergersi contro il piano di Trump, sfruttando le complesse trame del diritto internazionale, già di per sé confuso sullo spazio extra-atmosferico.

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