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Stiamo vivendo un momento drammatico della storia del nostro Paese e del mondo. Il peggiore dalla fine della Seconda guerra mondiale. Per superarla, c’è bisogno del contributo di tutti, nella consapevolezza che la pandemia cambia tutto e, con essa, cambiamo anche noi. Il primo grande sconfitto di questa crisi è la globalizzazione della produzione e dei consumi. Non solo perché sempre meno sostenibile, ma anche perché fragile ed inaffidabile.

Oggi finalmente cominciamo a renderci conto che senza sanità pubblica, senza risorse ambientali, senza produzione locale, senza ricerca innovativa, senza scuole moderne, senza comunità umane affiatate non c’è alcuna resilienza. Abbiamo visto stampatori 3d che producono mascherine e valvole per i respiratori ospedalieri (perché i produttori globali non riescono o non vogliono farlo), ricercatori dei nostri enti alle prese con test e vaccini (per lo sviluppo dei quali non possiamo sempre dipendere dagli altri paesi), innovatori locali che ripensano come gestire centri urbani ed abitazioni per evitare che diventino incubatori di malattie, produttori di energie rinnovabili ormai cruciali per tutti quei paesi che non possono più affidarsi a importazioni di carburante che potrebbero non arrivare.

Bisogna riprendere a investire in sanità, scuola, università e ricerca, settori da sempre trascurati, ma che sono la linfa vitale di una nazione. E sarebbe letale permettere al virus di uccidere anche il clima, favorendo politiche espansive che tornino a considerare la sostenibilità ambientale un tema secondario, negando ancora una volta ciò che ci dice la scienza: la salute delle persone e dell’ambiente devono essere il perno di qualunque politica economica. Altrimenti, non c’è futuro.

Per sostenere la lotta contro il virus servono idee e partecipazione di tutti. Non servono uomini soli al comando o pieni poteri. Il virus non conosce frontiere, per questo sono necessarie politiche sanitarie, sociali, fiscali ed economiche unificate nell’Unione europea, capaci di sostenere i Paesi in difficoltà senza condizionalità capestro. Serve un nuovo Patto di sostenibilità e benessere, con nuove regole e un regime fiscale unico, che elimini la pratica di dumping tra gli Stati Membri.

Il virus colpisce in maniera indiscriminata, mentre la crisi economica e sociale è selettiva, perché colpisce e colpirà con maggiore durezza i settori più fragili e le persone con minori tutele. Per questo è fondamentale un Reddito di transizione, una misura universalistica capace di arrivare nelle case di chi ha più bisogno, utile anche come garanzia di sostentamento in questa fase transitoria verso nuovi modelli produttivi sostenibili.

Lo si può fare istituendo fondi europei o nazionali a cui far compartecipare le categorie meno colpite, le imprese partecipate, il grande capitale, i giganti dell’e-commerce, i lavoratori più tutelati, i dirigenti pubblici, i parlamentari regionali, nazionali ed europei. Lo si può fare ricongiungendo le risorse dei fondi strutturali europei non ancora spesi, non andati a buon fine, fermi nei ministeri e nelle regioni.

L’Italia e l’Europa potranno ripartire più forte di prima se eviteranno la tentazione di un semplice ritorno al passato. Perché il nostro modello produttivo necessita di una riconversione profonda e questa è l’occasione, forse l’unica vera degli ultimi decenni, per agire con una visione di futuro migliore.

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