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“Mi piace, eccome”. Che lo chiamino pure “lealista” di Luigi Di Maio. Manlio Di Stefano è sottosegretario al ministero degli Esteri e un grillino della prima ora. “E sì, diciamolo grillino, perché è una bella parola, anche se oggi si usa di meno”. Con un post su Facebook ha difeso a spada tratta il capo del Movimento Cinque Stelle, di cui non pochi parlamentari chiedono ora un passo indietro. “Si dimenticano troppo in fretta che Luigi è stato scelto da tutti noi – confida Di Stefano a Formiche.net dopo una lunga giornata ad Abu Dhabi, dove ha preso parte al Consiglio dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili e incontrato diversi ministri emiratini per parlare del tema del giorno: la Libia. Anche qui, checché se ne dica, Di Maio “sta facendo un lavoro eccezionale”.

Manlio Di Stefano è considerato un “lealista” di Di Maio.

Lealista al Movimento Cinque Stelle, per prima cosa. E poi di Luigi, che oggi più che mai rappresenta questo Movimento.

Sicuri che non sia dimissionario?

Una notizia infondata, campata per aria e ampiamente smentita.

Eppure non pochi gli chiedono un passo indietro. Gli Stati generali convocati a marzo sono un’occasione per farlo?

Qualunque decisione sarà presa non potrà essere retroattiva. Si vuole scindere il ruolo di capo politico e ministro? Bene, ma dal prossimo giro. Qualcuno si dimentica troppo in fretta.

Di cosa?

Come Di Maio è stato eletto. Noi lo abbiamo votato e sostenuto come capo politico e, aggiungo, come candidato premier. Oggi tutti si accorgono che ha tanto lavoro sulle sue spalle. Vero, e lo sa gestire molto bene.

Ha detto che qualcuno si dimentica. Chi?

Troppi dei nostri, lo dico con grande dispiacere. Ogni scusa è buona per attaccare Luigi. Un movimento, un partito serio cerca di innovarsi per migliorare. E invece c’è chi ha sposato una filosofia tipica della sinistra italiana.

Sarebbe?

Per diventare leader bisogna abbattere quello in carica e sostituirlo.

C’è chi sostiene che i Cinque Stelle oggi siano un partito di sinistra.

Preferisco guardare ai fatti. In quattro mesi abbiamo fatto più riforme grilline e con meno sforzo di quante non ne abbiamo portate a casa in un anno e mezzo con la Lega. Anche questo è un merito di Luigi, oltre che degli altri ministri.

Il vostro gruppo al Senato chiede un passo indietro di Davide Casaleggio dalla piattaforma Rousseau.

Ripeto, mi rendo conto con grande rammarico che qualcuno, mi auguro la maggior parte, ingenuamente, altri malignamente cerchino continuamente capri espiatori, magari per rinfacciare qualche insoddisfazione personale. Io sono di un’altra idea: testa bassa e lavorare. Ha funzionato alla grande per dieci anni, perché smettere ora?

Esiste o no un caso Conte dentro al Movimento?

Nessun caso. Conte è riuscito a traghettare l’Italia in un momento complesso, dopo che la Lega ha tradito gli italiani. Ha assicurato al Paese una nuova fase di stabilità per portare avanti le riforme avviate come Quota 100 e Reddito di cittadinanza.

E oggi, Zingaretti dixit, è il riferimento dei progressisti…

Non considero più queste categorie. Stiamo ragionando su una legge elettorale proporzionale anche per mettere la parola fine alle vecchie dinamiche del maggioritario, che divideva la politica in destra, sinistra, conservatori, progressisti.

Intanto Salvini ha blindato il referendum confermativo sul taglio dei parlamentari con sei voti leghisti.

Non si smentiscono mai. Quando c’è da proteggere gli interessi della casta Salvini è sempre in prima linea. Non dimentico quando noi facevamo le barricate per togliere le concessioni ad Autostrade e lui li difendeva.

Lei è sottosegretario alla Farnesina. Un ministero che oggi ha parecchio da fare, a cominciare dalla Libia. Di Maio doveva fare una scelta più netta fra Serraj e Haftar o è giusta la prudenza?

Luigi sta facendo un lavoro eccezionale, e credo anche la nostra squadra. Oggi ci sono due visioni opposte sulla questione libica. I puristi inconcludenti, per cui devi parlare solo con l’una e l’altra parte. E chi invece ha capito che dopo otto anni bisogna parlare con tutti, sia con chi, purtroppo, ha un’arma in mano, sia con chi ha solo armi politiche.

E Di Maio?

Fa parte della seconda schiera. In tre giorni e mezzo ha girato buona parte del Nord Africa e del Medio Oriente. Se in Libia si arriverà a un cessate-il-fuoco sarà merito di tutti i Paesi alleati ma anche di Luigi. E di Conte, ovviamente.

Oggi Palazzo Chigi riceve Serraj. Il forfait dell’altro giorno non è stata una gran figura…

Io non ci ho visto una figuraccia, l’incontro è stato organizzato dal corpo diplomatico e i diplomatici non sbagliano mai il protocollo. Ci ho visto semmai un azzardo. Siamo in un momento storico che richiede di azzardare un po’. Serraj sa perfettamente che non può prescindere da un’interlocuzione con Haftar.

In Egitto però Di Maio ha scelto di non azzardare. Non ha firmato il documento di condanna della spedizione turca in Libia.

Qualcuno pensa che firmare un documento di condanna risolva le cose. Sa a cosa serve? A offendere la Turchia, il secondo Paese per truppe nella Nato. In questo momento l’Italia in Libia ha bisogno di un amico, non un nemico in più.

A proposito di Nato, il segretario generale Jens Stoltenberg ha detto che è giusto restare in Iraq anche dopo il caso Soleimani. L’Italia lì ha circa 900 soldati. Ha fatto bene il ministro della Difesa Lorenzo Guerini a confermare la missione?

Chi mi conosce sa come la penso. Sia l’Iraq che l’Afghanistan dovevano essere abbandonati da tempo. Ma dobbiamo precisare che oggi in Iraq ci siamo come parte della Coalizione anti-Daesh, che ha funzionato e lavorato bene. Ovviamente ci sono delle condizioni.

Quali?

Il Parlamento iracheno, come qualunque assemblea rappresentativa, è sovrano. Ha votato una risoluzione per la partenza dei militari americani ma presto l’Iraq vorrà liberarsi di tutte le truppe straniere. Se il governo iracheno prendesse questa decisione saremmo tenuti a rispettarla.

Sto con Luigi, nel Movimento e alla Farnesina. Parla Di Stefano (M5S)

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